Into the Wild, a Berlino si impara a sopravvivere nella natura senza tecnologia

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Into the wild, o per dirla più correttamente in der Wildnis, sembrerebbe essere l’ultima moda dei berlinesi che decidono di andare a lezioni di sopravvivenza da Bastian Barucker, fondatore della Wildnisschule Waldkauz. In un tempo in cui molti si portano il tablet in spiaggia, gli “studenti” di Barucker preferiscono una vacanza alternativa, per imparare a fare a meno della tecnologia e di tutti gli agi che, impercettibilmente, modificano la nostra esistenza limitando le nostre abilità.

Quella di rinunciare alle comodità e alle abitudini è una scelta alternativa, davvero radicale, presa per ricordarsi da dove si viene e di cosa si è davvero capaci. Ci si spinge al limite, per capire di più se stessi e l’ambiente. Crediamo di non potere vivere senza molte cose, ma se ci venissero tolte che cosa accadrebbe? Quanto sono davvero indispensabili? In una situazione di emergenza chi di noi sarebbe in grado di salvare sé e gli altri? Apprezziamo veramente la bellezza della natura o temiamo la sua semplice brutalità?

Per rispondere a queste domande c’è l’esperimento offerto da Barucker, insieme alla sua collaboratrice Annika Mersmann: sei giorni in un bosco, a Schlaubetal, senza ausili di nessun tipo. Lui ha 29 anni e lavora come educatore e docente alla Alice-Salomon-Hochschule, dopo essersi occupato per anni di bambini e adolescenti e aver vissuto per un anno nel deserto degli States.

Ci si accampa vicino a un corso d’acqua, che verrà spartito in zona-bagno e zona-potabile, si costruisce una capanna, si cucina tutti insieme quello che si trova, si accende un fuoco coi legnetti, si ascolta l’antico linguaggio degli animali, si impara e raccogliere le piante giuste. «Lasciamo il mondo ad alta tecnologia e le connessioni ad alta velocità dietro di noi, e in cambio ci immergiamo nella foresta», dice l’organizzatore.

© Bastian Barucker
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Sei adulti e persino due bambini finora hanno aderito volontariamente all’iniziativa, e l’hanno apprezzata. Per lo più sono persone sportive o che hanno già provato esperienze simili. «Qui si vive come un clan», spiega Petra E., una dei partecipanti, che aggiunge: «Noi viviamo nel qui e ora. Volevo fare a meno del superfluo e imparare di più su me stessa e la natura».

La sfida più grande è proprio la convivenza 24 ore su 24 con degli sconosciuti, ma per aiutare a rilassarsi c’è il rituale della conversazione serale. Quando comincia a piovere, quando il mal di testa assale, quando si diventa intolleranti alle condizioni igieniche discutibili, quando (nel caso dei più piccoli) si desidera ardentemente un dolcetto e non lo si può avere, sono questi i momenti durante i quali scatta l’apprendimento. Si oltrepassano quelle che Barucker definisce le “soglie” di comfort e in queste circostanze il gruppo si salda con forza.

È qualcosa che sul Ku’ Damm o a Kreuzberg non capita sovente. Un’occasione preziosa dunque, l’ideale anche per stressati e viziati abitanti di una grande città che desiderino provare un’emozione nuova, ricordandosi chi sono.

E.Bar.

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