Ultimo canto per Vogelsang

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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testo e foto di Dario-Jacopo Laganà e Stefano Corso

Ci siamo lasciati alle spalle la ferrovia qualche chilometro fa, incamminandoci nei boschi, dove si passa vicino ad una palude ghiacciata, che d’inverno, insieme al gracchiare di uccelli appollaiati sui lunghi rami senza foglie, contribuisce a creare un’atmosfera densa.

Questo posto non è solo una base militare abbandonata, ce ne sono tante nell’ex Germania Est da quando l’Armata Rossa ha lasciato il paese nel ‘94, questo posto fu al centro per qualche tempo di crisi giocate sul filo del rasoio e di missili nucleari puntati su Londra, che da qui dista meno di mille chilometri, dei quali però anche la CIA non riuscì all’epoca a trovare prove.

Questa parte di storia non è molto conosciuta, fa parte della memoria recente della Germania e per questo ha bisogno di tempo per poter essere osservata con la dovuta oggettività ed essere anche slegata dagli eventi della caduta del muro, che hanno catalizzato l’attenzione internazionale e ancora oggi tengono banco nella ritualità degli anniversari (nel 2014 sono 25 anni dalla caduta del muro).

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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L’esercito russo nella DDR è stato un esercito in attesa di una guerra che per fortuna non c’è mai stata, ma che ha segnato le vite delle persone che vi si sono preparate per 40 anni, per poi, alla fine del Comunismo, essere riportati a casa, in un paese profondamente cambiato e in rovina, cui difficilmente potevano dirsi contenti di tornare.

Con la fine della Seconda Guerra mondiale i Russi avevano preso prima possesso delle basi della Wehrmacht, poi con la Guerra Fredda iniziarono a costruire nuove basi militari fuori dalle città. Le basi furono costruite ai margini o nei boschi per non facilitare i radar americani e furono ampliate man mano, fino a diventare delle vere Città Militari capaci di ospitare 7.000, 15.000 ma in alcuni casi anche 70.000 tra militari e civili.

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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Quando i Russi hanno lasciato Berlino erano in 500 mila, portandosi via tutto, anche le porte, anche gli infissi, anche il legno dei pavimenti; attorno alla città si sono create delle aree interamente abbandonate che nel corso dei venti anni successivi sono state di nuovo assorbite dalla natura. Queste aree conservano un fascino particolare, riescono a rimetterci in correlazione col passato e contemporaneamente ci restituiscono l’idea di come i grandi imperi si siano sgretolati.

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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Arriviamo finalmente alla base, Vogelsang, aggirandoci per le strade ed il palazzo che un tempo era teatro e cinema appare ancora imponente, con le colonne all’ingresso ed i resti di una fontana nella piazza antistante.

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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Immagine d’archivio

È difficile immaginarsi questo posto tanti anni fa, pieno di rumori, dei militari a torso nudo durante gli addestramenti all’aperto, dei passi pesanti degli stivali al passo dell’oca, di persone che chiaccherano e aspettano di entrare al cinema. Infatti la sala principale è deserta, manca tutto, anche le poltrone. Si accede al piano superiore tramite un’elegante scala ma anche lì tutto è silenzio e assenza, spoglio, con i controsoffitti cadenti.

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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È in questo frangente che facciamo un incontro tanto inaspettato, quando sorprendente. Un uomo sulla quarantina appare dal nulla,  si avvicina e ci chiede di essere fotografato su quello che resta del cinema. Sale sul palco con grande dignità, composto e fiero, di quella drammatica fierezza nostalgica tipica dei russi. Incuriositi dalla richiesta e dall’uomo, restiamo a parlare con lui, divisi da barriere linguistiche, ma non dalla volontà di comunicare. E allora vanno bene le poche parole condivise, valgono le mani, valgono i disegni fatti a terra con il gesso con i quali ci disegna la sua memoria della base.

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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Era poco più che un bambino quando aveva vissuto nella base (con la sua famiglia, figlio di un qualche ufficiale della base) e ci era rimasto quattro anni, il tempo standard degli Ufficiali dell’Armata Rossa prima di essere poi destinati ad un’altra base; vuole raccontare, spiegare, far rivivere quel posto in cui torna per la prima volta dopo 30 anni.

Grazie ai suoi gesti e alle sue parole, nel vuoto della sala riappaiono le file di poltrone con i posti per gli ufficiali e i sottufficiali, nel centro i grandi lampadari di cristallo e la gente che prende posto per assistere ad un nuovo spettacolo dei commilitoni o per vedere un film.

Si sposta all’esterno della sala, dove c’era la biglietteria da un lato e l’edicola dall’altro. Rivive una sala vuota, bianca, dove un tempo c’era un biliardo e dove ora possiamo invece vederci il fumo delle sigarette, mentre al piano di sopra si trovavano le sale dove si poteva far musica insieme, anche rock, come ci tiene a precisare.

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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Le giornate passate tra la scuola e la palestra a guardare i grandi andare e venire da quelle esercitazioni militari fatte giorno per giorno della stessa quotidianità, in attesa di quell’ipotetica guerra in una terra straniera, divisi dal mondo reale da un bosco fittissimo, con pochi contatti con le persone del paese vicino. Tedeschi e russi, coinquilini ma anche occupanti, nemici prima, amici e fratelli poi –  per esigenza più che per indole.

© Stefano Corso / Dario J. Laganà
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Immagine d’archivio

Continuiamo a girare per questa base miliare immensa fatta di grandi strutture, con un’area per le caserme, la scuola, la palestra, la zone per le ville degli ufficiali, villette in legno e una villa dietro un muro con garage e con una piccola piscina privata e la sauna.

Abbiamo con noi alcune foto antiche, la mappa della base, alcuni racconti diretti dei russi e cerchiamo di tenere traccia fotografica di quello che rimane, perché nel corso degli ultimi anni questa base, così come altre basi, sta man mano venendo demolita e di questa storia come di tante altre non resterà ricordo certo. La vita di queste persone è stata una vita con la sola certezza che il proprio destino era legato alla Germania dell’Est e quando questa si è dissolta, si è dissolta anche la loro vita, come in un grande Truman Show.

Gli autori:

Dario-Jacopo Laganà | www.norte.it
Stefano Corso | www.stefanocorso.com