Il gran finale di Maerz Musik tra Lachenmann e Guézec

Lachermann (© Marion Kalter)
Helmut Lachenmann (© Marion Kalter)

di Francesco Mercuri

Che la musica contemporanea (ci ostiniamo a chiamare così quelli che ormai son dei classici, scritti non oggi ma nel pieno degli anni sessanta, solo per la paura dello sforzo mentale che il confronto con qualcosa di veramente classico, cioè di inesauribile, ci pone) sia un privilegio di pochi happy few frequentatori di festival per specialisti organizzati da altri specialisti, è un luogo comune che al giorno d’oggi trova diritto di cittadinanza solo in alcuni Paesi dove non si vuole imparare a distinguere la qualità dalla pubblicità.

Gli happy accorsi al concerto centrale delle idi di Marzo musicali della capitale sulla Spree, che quest’anno celebrano gli strumenti a percussione eleggendoli a tema di tutto “Maerz Musik” non erano per niente few e a giudicare dagli scrosci di applausi che fragorosamente accoglievano alla fine di ogni pezzo l’ottimo direttore spagnolo Arturo Tamayo, alla guida della Konzerthaus Orchester (insieme ad altri quattro Ko-Dirigenten, nel caso di “Firecylcle Beta”, il pezzo di Ferneyhough che chiudeva il concerto), hanno goduto a pieno del privilegio di ascoltare pezzi raramente eseguiti tra le prime e decisive creazioni di Ferneyhough e Lachenmann, con i compositori seduti in sala uno accanto all’altro, come vecchi enfants terribles della nuova musica.

La prima parola che compare nel sottotitolo di “Air”, il pezzo di Lachenmann, “Musik für großes Orchester und Schlagzeug-Solo“, deve essere suonata nel 1969 come una presa di posizione nei confronti dei detrattori della nuova musica. “Let the sounds be what they want to be”, diceva il suo profeta John Cage.

L’operazione compiuta da Lachenmann è un confrontarsi con la storia, quella degli strumenti musicali, quindi della musica tout-court. “Il compositore è un parassita, che si serve dell’aura dello strumento per ottenere un determinato effetto”, la musica di Lachenmann tenta di riscoprire se stessa di nuovo attraverso un meccanismo di straniamento dei suoni (dagli strumenti che li producono) e quindi dell’ascolto, che, abituato a costanti di linguaggio e di colore strumentale, si riscopre nudo e nuovo come fosse la prima volta. Si riparte da questo livello zero dell’udire, che però è allo stesso tempo il più sofisticato, in quanto questo straniamento e questa molteplicità non sarebbero possibili se non in relazione al mondo di suoni che l’ha preceduto, da Lygeti a Bach.

Oltre a “Air” e a “Firecycle Beta”, in programma anche  “Formes” del francese Jean-Pierre Guézec, che incastonato tra i pezzi di Lachenmann e Ferneyhough ha fatto molto rimpiangere l’assenza in sala del suo creatore.  Allievo e successore di Messiaen al conservatorio di Parigi, Guézec, morto per un infarto  nel 1971 a nemmeno quarant’anni, avrebbe potuto, per capacità di sintesi di pensieri musicali come quelli di un Boulez, di un Messiaen e si, se vogliamo, anche di un Duttilleux, diventare uno dei maggiori musicisti francesi del ‘900.

Il concerto verrà trasmesso in differita da Deutschlandradio Kultur il 02.04.2013 alle 20.03