La Berlino degli anni Ottanta: edonismo a tutti i costi. Il racconto di Christ Petit

chris petit berlino anni 80
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Chris Petit è uno scrittore e regista inglese, classe 1949. Noto soprattutto per il road movie Radio On, ha però conquistato un posto all’interno del Berlin International Film Festival del 1982 con il giallo “An Unsuitable Job for a Woman“, nel 1982. Nel 1984, invece, Petit era a Berlino est, durante le riprese di Chinese Boxes, un thriller ambientato proprio nella capitale tedesca, che mescolava in modo contorto storie di spionaggio, teenager tossicodipendenti, morti misteriose e malavitosi locali. Ascoltando il resoconto di quei giorni, sembra che il regista e scrittore consideri il suo soggiorno nella Berlino dell’epoca estremamente più interessante della trama del suo film, che non si preoccupa di definire “incomprensibile” e “scadente”. In un articolo uscito sul The Guardian, Petit parlava invece con maggior interesse di quando sfrecciava su una Jaguar XJ6, l’unica che fosse visibile in città, ignorando il fatto che il compositore che la guidava fosse un informatore della Stasi.

Chris Petit: girare all’est e vivere all’ovest, fra “primavera tedesca” ed edonismo sfrenato

La scelta di Berlino est come luogo per le riprese era motivata dal bisogno di risparmiare e i suoi ricordi di quei giorni nel regno della DDR oscillano tra la menzione di vino rosso importato dalla Bulgaria e discorsi generici sulla possibile riunificazione della Germania, a cui al tempo si alludeva parlando di “primavera tedesca”.

Di Berlino ovest, dove invece risiedeva normalmente, Petit parla come di una sorta di spot pubblicitario sull’edonismo. Le immagini evocate sono quelle di sesso in taxi, alcol, droghe e di locali che, a differenza di quelli Londra, che chiudevano alle 11.00, e di Parigi, che arrivavano fino all’una di notte, praticamente non chiudevano mai e non cacciavano nessuno. Di questo frenetico affastellarsi di emozioni ed esperienze radicali, associate al lampeggiare anonimo delle luci sulle auto, di notte, Petit ha un ricordo totalmente sganciato dagli eventi storico-politici di cui la città era simbolo. “L’unica volta che mi è capitato di pensare alla guerra fredda all’ovest”, spiega “è stato quando sono uscito all’alba da un locale e aprendo la porta sono stato abbagliato dalla luce del giorno, pensando che fosse un’esplosione nucleare”.


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Petit parla anche dell’appariscente teatralità di personaggi animati da una sorta di frenesia quasi predatoria e protagonisti di eccessi che definisce “più fortemente voluti che piacevoli”, come se Berlino in qualche modo si sentisse obbligata a “rinverdire la decadenza di Weimar” e a rimuovere quanto accaduto successivamente. Il quartiere gay viene descritto come una versione più addomesticata della Chrisopher Street a New York e il tutto è calato in una strana dimensione piena di parrucchieri, vedove di guerra e uomini che tentavano di costruirsi una carriera, dove la residenza (parliamo sempre di Berlino ovest) comportava l’esenzione dal servizio militare, ma dove il territorio restava comunque sotto occupazione militare, con legge marziale formalmente in vigore e la possibilità teorica che fosse applicata la pena di morte.
Petit dichiara di essere stato sempre più interessato alla Germania che all’Inghilterra, sin da quando era piccolo e cresceva in una base militare della Ruhr, negli anni cinquanta, affascinato da una città che in quegli anni particolari era uno strano misto tra la propensione allo sviluppo tecnologico, una certa frenesia della ricostruzione e il complesso senso di colpa legato al peso del passato recente. Aggiunge anche di aver descritto così bene il Regno Unito, dopo esserci tornato dopo il 1986 e quindi in un momento di rinascita del Paese dopo anni di crisi economica e tensioni, solo grazie all’esperienza vissuta a Berlino.
Anche Robinson, uscito nel 1993 e formalmente ambientato Londra, è intriso di sfumature e sensazioni che l’autore stesso definisce tipiche della Berlino della fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta.
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