L.A. Galerie: le fotografie in divenire di Johannes Frazen

Foto © ArcCan/ Wikimedia Commons / CC BY-SA 3.0 / remixed by Il Mitte
Foto © ArcCan/ Wikimedia Commons / CC BY-SA 3.0 / remixed by Il Mitte
Foto © dal sito della Austellungshalle.

Francoforte – Appena varcata la soglia della AusstellungsHalle 1A, dove fino all’altro ieri l’artista Johannes Frazen esponeva alcuni suoi lavori  si restava colpiti dalle enormi fotografie appese alle pareti, per altro corredate da titoli alquanto generici: Meer, Kuh, Stadt, Tal, Wald. All’inizio l’effetto straniante di queste immagini dilatate fino a fare del pixel l’unità compositiva minima sembrava dovuto semplicemente all’esaltazione di un grossolano problema di definizione.

Un tale eccesso di estetica “tecnologico-informatica” aveva un effetto quasi irritante sull’osservatore. Ma era sufficiente qualche minuto di “riconfigurazione” affinché l’occhio iniziasse ad adattarsi all’essere esposto in maniera così diretta al processo di produzione dell’immagine e non all’immagine compiuta come unità significativa.

Johannes Franzen non scatta fotografie. Piuttosto utilizza fotografie digitali prese da internet scegliendo le immagini di più immediata riconoscibilità – degli stereotipi figurativi come il mare, il bosco, un nudo di donna, una mucca, un paesaggio urbano o naturale – per poi sottoporle a un processo di rielaborazione che opera sul codice che c’è dietro ogni immagine, anzi, che è quell’immagine.

L’impressione è quasi di una pittura, non mimetico-realistica, che vuole esporre il proprio codice cromatico, la propria struttura coloristica, per stimolare nello spettatore una risposta ottica più che emotiva, un po’ come nel pointillisme di Georges Seurat e Paul Signac. L’immagine così ingrandita espone all’occhio dell’osservatore la sua intima microstruttura. È importante che il motivo figurativo rimanga nella mente come una sorta di mediazione affinché sia la percezione stessa a emergere.

Franzen lavora con tutte le potenzialità dell’immagine digitale e del suo codice, quindi anche con i limiti, per quanto molto ampi, di tale immagine. Nella mostra nella L.A. Galerie, ancora aperta al pubblico fino al 6 giugno, l’operazione di ricodifica sembra aver raggiunto un punto più “avanzato” e le figure conosciute sono più difficili da rintracciare.

La sfida mossa alla percezione dello spettatore si fa quindi ancora più impegnativa. Il culmine si raggiunge con la visione di un video che è la proiezione in diretta del processo di codifica: il programma in funzione. I colori possibili nello spazio digitale vengono proiettati in tutte le loro possibili combinazioni. Un’idea viene subito in mente: mostrando tutte le possibili combinazioni di pixel/colori il video prospetta la possibilità, su un tempo infinito, di veder apparire sul muro un capolavoro di van Gogh o di Caravaggio qualora dovesse presentarsi quella precisa combinazione.

Alla fine ci si accorge che il più profondo straniamento subito dallo spettatore scaturisce dal veder in qualche modo riflesso il suo stesso processo percettivo nel processo produttivo dell’immagine. Il nostro sistema visivo decodifica o lavora a decodificare quell’immagine che è stata (ri)codificata dall’artista e dal suo programma. In questa doppia operazione facciamo con forza esperienza della processualità stessa dell’evento visivo.

Francesco Giusti

Johannes Franzen, Recoding Photography

11 Aprile – 6 Giugno 2015 L.A. Galerie – Lothar Albrecht, Domstraβe 6, 60311 Frankfurt

P.S. Se questo articolo ti è piaciuto, segui Il Mitte Francoforte su Facebook!