«Italiani in Germania, una sola via da seguire: quella dell’integrazione»

© Jlhopgood / CC BY ND 2.0, integrazione
© Jlhopgood / CC BY ND 2.0
di Alessandro Brogani
> Questo articolo conclude l’inchiesta “Einwanderer – L’immigrazione italiana (e non solo) in Germania” realizzata da Alessandro Brogani. Clicca qui per leggere la prefazione e sfogliarla capitolo per capitolo <

einwandererTentiamo di tirare le fila di questa lunga analisi del fenomeno migratorio. Tralascerò qui considerazioni inerenti la comunità turca, della quale integrazione ci siamo occupati solo marginalmente.

Per quanto riguarda quella italiana la divisione classica che si può fare è quella fra vecchia” e “nuova” immigrazione. In realtà, come abbiamo visto, il fenomeno è ben più complesso perché, all’interno di queste due forme, molteplici sono le differenze.

Due sono però le caratteristiche comuni in entrambe: da un lato il fattore di maggior importanza, quello che fa e faceva la differenza è la conoscenza della lingua, cosa questa rivelatasi fondamentale per entrambe le generazioni; dall’altro c’è quello culturale e la voglia dei singoli d’integrarsi in una comunità differente dalla propria.

Dunque, per certi versi, le similitudini ci sono e sono evidenti. L’integrazione risulta esser difficoltosa o addirittura inesistente tanto fra coloro che erano arrivati in Germania tanti anni fa, magari poi decidendo di rimanere in questo Paese a costo di mille difficoltà (probabilmente perché in Patria non si avevano più appoggi sui quali fare riferimento), quanto fra coloro che sono arrivati relativamente da poco, senza un progetto migratorio definitivo.

Gli errori sono identici: da un lato molti giovani connazionali rimangono nella cerchia della propria comunità o, al limite, in quelle comunità con le quali risulta più facile la comunicazione, così come facevano i loro predecessori.

L’integrazione risultava e risulta difficoltosa per quanti non hanno compreso che occorre, anche a costo di sacrifici personali e sforzi notevoli, mescolarsi con la società tedesca che sarà pur tanto diversa dalla nostra, ma che non ci ha di certo chiesto di dover per forza vivere in questo Paese.

Invece dall’altro lato, anche fra persone di non elevato bagaglio culturale, c’erano nel passato e ci sono oggi quanti questa voglia d’integrazione l’hanno messa concretamente in pratica, staccandosi da un cordone ombelicale così difficile da tagliare. Questa la prima verità.

C’è poi da dire che, forse complice anche tanta stampa nostrana, la Germania non è di certo il Paese di Bengodi descritto da Boccaccio. È una nazione, questo sì, che offre sicuramente grandi opportunità di realizzazione tanto da un punto di vista professionale, quanto da quello del raggiungimento delle proprie aspirazioni.

Spesso però viene sottaciuto che per ottenere tutto ciò occorre metterci del proprio, e non è affatto detto che ciononostante si ottenga un risultato positivo. Ultima considerazione sui nostri connazionali riguarda quanti hanno approfittato, al pari di altre nazionalità ed ivi compresa quella tedesca stessa, del forte stato sociale presente in Germania.

Con mille escamotage hanno percepito o percepiscono un contributo di disoccupazione pur non avendo tentato affatto di trovare seriamente un’occupazione. Questo, con l’andare del tempo ha alimentato la diffidenza di alcuni deputati tedeschi, quali il Ministro degli Interni Thomas de Maiziere che s’è spinto ad annunciare che «quanti saranno sorpresi ad abusare dello stato sociale tedesco, saranno rispediti a casa loro, anche se cittadini dell’Ue». Da questo punto di vista e ripeto, solo da questo, come dargli torto?

Questi, per sommi capi, pregi e difetti di quanti emigrano.

Per quanto riguarda le Istituzioni invece le considerazioni sono altre. Da un lato ci sono le difficoltà economiche che la Crisi ha prodotto con una riduzione a grande raggio di finanziamenti, con la conseguente chiusura di Sedi consolari, Istituti di Cultura, oltre alla riduzione delle iniziative promosse da ciascun Ente.

Dall’altro ci sono i problemi per così dire endemici del nostro Paese. Scarsa innovazione durante il corso degli anni, forse per la miopia dei vari Governi succedutisi in Italia che poco hanno “attrezzato” il Sistema Paese per un adeguato futuro economico, sociale e culturale dei propri cittadini.

Queste sono altro tipo di considerazioni che esulano dalla presente inchiesta, perché il discorso sarebbe molto lungo; tuttavia ne sono indiscutibilmente una componente. Spesso bravi “servitori” dello Stato, a tutti i livelli, sono lasciati soli ad affrontare problematiche nuove o semplicemente fenomeni differenti da quelli del passato, anche senza avere “strumenti” legislativi adeguati.

Forse basterebbero piccole innovazioni, anche di carattere tecnologico (che hanno un costo iniziale, ma che poi danno benefici a lungo termine che si ripagano da sé) per iniziare un processo d’integrazione che passa anche attraverso i servizi al cittadino.

Quello della legislazione legata ai fenomeni migratori è uno dei “nervi scoperti” che potrebbero certamente facilitare Istituzioni e cittadini in questa auspicabile integrazione. Il problema della perdita della copertura sanitaria nazionale, una volta iscritti formalmente come residenti all’estero, ne è  in tal senso una delle maggiori testimonianze.

Molti nostri connazionali rimangono anche per anni in un limbo che li allontana dalle Istituzioni, proprio per il timore di perdere una delle poche sicurezze di ordine pratico-economico, nonché psicologico, che il nostro Paese fornisce in Patria: la possibilità di curarsi in caso malaugurato di necessità.

Questo riguarda una larghissima fetta di persone che non trova subito un’occupazione stabile, facendone di fatto una sorta di clandestini dell’emigrazione. Si ha come l’impressione che il mondo italiano lontano dalla Patria poco appassioni il dibattito politico nostrano e che questo causi poi, a cascata, una serie di problematiche ed incomprensioni a livello locale.

Le Istituzioni presenti sul territorio spesso possono sembrare lontane dal cittadino che non sa bene come orientarsi, anche perché non dispongono degli strumenti legislativi, oltre quelli economici, per poter concretamente operare.

Poco credibile m’è parsa l’immagine che troppo spesso si dà in Italia delle Istituzioni tedesche, come poco aperte alle altre comunità ed incentrate tutte sul proprio interesse. Il Governo tedesco in realtà è il primo ad avere necessità di un adeguato processo d’integrazione. E questo lo ha ben chiaro.

Secondo i dati dell’Ocse (Organizzazione per la Collaborazione e per lo Sviluppo Economico) nel 2025 in Germania verranno meno circa 5 milioni e mezzo di lavoratori. Questo perché coloro che sono stati la classe lavoratrice derivante dagli anni del Babyboom stanno per andare in pensione.

Inoltre l’attuale tasso di fecondità s’aggira a circa 1,4 bambini per donna tedesca. Ciò significa che la nazione avrebbe bisogno di non meno di 400.000 immigrati in più ogni anno, proprio per sostenere la sua crescita economica.

Come tanti anni fa il Governo sta programmando l’integrazione di nuova forza lavoro tanto necessaria per lo sviluppo del Paese. Sanno bene i tedeschi che sarebbe quantomeno miope non comprendere che la via maestra è quella di favorire lo stanziamento non passeggero di altre comunità.

Ciò che forse si può criticare è che poco è stato finora fatto per andare a fondo ad un fenomeno ben conosciuto in Germania che è quello della disparità retributiva, a parità di qualifica, di un lavoratore straniero rispetto ad uno tedesco. Fenomeno questo studiato soprattutto negli anni passati da indagini statistiche. Comunque si sa, tutto è perfettibile.

Molti miti stanno cadendo all’interno della comunità tedesca stessa sul fenomeno dell’immigrazione, soprattutto quella dell’Est, una volta ritenuta “povera”. Stando ai dati nel 2010 più del 40% degli immigrati in una fascia d’età compresa fra i 30 ed i 64 anni, provenienti dalla Bulgaria e dalla Romania, erano laureati. I meno qualificati sembrano essere i lavoratori stagionali. I disoccupati provenienti da questi due Paesi, sempre nel 2010, risultavano essere pari al 10% del totale.

Tutto ciò dovrebbe far riflettere quanti tra i nostri connazionali (la comunità italiana in terra tedesca è la seconda per numero, dopo quella turca, con circa 700.000 presenze ufficiali secondo dati dell’Institut für Arbeitsmarkt und Berufsforschung, ovvero l’Istituto tedesco per il mercato e la ricerca del lavoro) si sono da poco trasferiti o stanno per trasferirsi in questo Paese: è vero che la Germania ha bisogno di lavoratori ma, visto l’alto numero di potenziali concorrenti provenienti da ogni parte del mondo, occorre più che mai essere qualificati e disposti ad integrarsi nella comunità locale, in primis imparando la lingua.

Galileo Galilei sosteneva che “un uomo che parla bene due lingue, vale quanto due uomini”. Questo era valido alla sua epoca e lo è ancor più ai giorni nostri. Nella “locomotiva” d’Europa soprattutto.

1 COMMENT

  1. Dovrebbero loro a iniziare a integrare gli stranieri cominciando da una bella riforma della scuola dove i bambini hanno tutti le stesse opportunità e non a dieci anni fare una selezione come fanno qua in Germania !

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