Arturo Robertazzi, lo “scrittore computazionale” che racconta il lato dark di Neukölln

di Oriana Poeta
(pubblicato originariamente su Il Roma – Cronaca di Salerno e provincia) 

La comunità italiana nella capitale teutonica è sempre più in fermento. Sono tanti i giovani che continuano ad arrivare. Scoraggiati dal sistema clientelare, dalla quasi inesistente meritocrazia, dall’alto tasso di disoccupazione, stanchi di vivere nello stesso contesto sociale e desiderosi di realizzare i propri sogni, decidono di partire. Una penna in fuga, un chimico approdato a Berlino è Arturo Robertazzi (sito ufficiale). Il suo nome nella libreria italiana di Berlino (la Mondolibro in Torstraße ) è ben noto. Quando entro la prima volta noto subito il suo libro, ma a colpire la mia attenzione è il suo cognome. È tipico delle mie parti. Incuriosita decido di acquistare Zagreb e di contattare l’autore.

Di dove sei originario? Il tuo cognome sembra essere campano…
Sono nato a Napoli, ho vissuto a Salerno. I miei vivono in provincia.

Da quando vivi a Berlino e come mai proprio qui?
È qualche anno ormai che sono in giro. Prima in Spagna, per l’erasmus, poi in Gran Bretagna, per il mio dottorato. Dopo i tre anni a Cardiff, nel 2006 sono tornato in Italia: mi mancavano il cappuccino e il cornetto a colazione. Ho scelto Trieste, forse la città con il network di università e centri di ricerca più importante di Italia. E infine Cagliari, anche lì ho lavorato all’università. Dopo circa tre anni di Italia (e anche a causa dell’insostenibile situazione politica), cominciavo ad aver voglia di Europa. Mi guardavo in giro: Francia, Olanda, Gran Bretagna. L’Europa, però, mi è apparsa improvvisamente troppo piccola. Dove andare? Dopo aver scartato due ottime occasioni, una in Corea del Sud (che non è esattamente Europa) e l’altra ad Amsterdam, ho scelto Berlino. A pesare nella decisione è stata l’intenzione di scrivere un romanzo ambientato nelle strade di Neukölln. Ed eccomi qui, dopo tre anni, a godere di questa (meravigliosamente grigia) città.

A Berlino, quindi, c’eri già stato?
Noi italiani viaggiamo poco e viaggiamo tardi. Io ho cominciato a viaggiare solo a vent’anni, era il 2000. La prima esperienza fu l’interrail in Germania e Danimarca. Dopo notti trascorse in parchi, campi di calcio e in accampamenti a pochi metri dalle mura di un carcere (in una città tedesca chiamata Celle), in qualche modo, arrivammo a Berlino. Nel 2000 Berlino era un enorme cantiere: una città da vivere e capire, impossibile da consumare nei pochi giorni di una vacanza estiva.

A Berlino in veste di ricercatore presso la Freie Universität. Prima di essere uno scrittore sei un chimico.
“Prima di essere uno scrittore sei un chimico”, non credo di essere d’accordo… [sorride] Fin dagli anni di studio, ho sfruttato la ricerca scientifica per conoscere l’Europa. È un ottimo modo, lo consiglio a tutti. Qui a Berlino la mia ricerca è finanziata dalla Humboldt Stiftung, una fondazione che, tra le altre attività, supporta i progetti di ricerca di giovani ricercatori e professori.

La chimica prestata alla scrittura. Un binomio che potrebbe risultare strano, ma reale dopo il caso di  Paolo Giordano (autore de La solitudine dei numeri primi), fisico e scrittore. Come unisci queste due passioni?
Paolo Giordano è solo uno degli esempi di scienziato-scrittore e, non me ne voglia, nemmeno il più eclatante. Voglio dire, Isaac Asimov era biochimico, Primo Levi un chimico… Non credo poi che la combinazione chimica-scrittura sia così strampalata. Un chimico è uno scienziato che gioca con gli elementi, con le molecole, gli aggregati di molecole. In maniera simile, lo scrittore mette insieme lettere, ne fa parole, e con le parole costruisce dei testi. E poi, la capacità analitica, fondamentale per un chimico, è utilissima anche per lo scrittore. Non sempre è stato facile, però. Per anni, la chimica e la scrittura si sono combattute, battaglie continue con esiti imprevedibili. Alla ricerca di pace, ho aperto un blog, Scrittore Computazionale (da “scrittore” e “chimico computazionale”). Lo scopo ambizioso è quello di scrivere di chimica e scrittura, arti e scienza nello stesso spazio, convinto che le due culture, quella scientifica e quella artistica, stiano da tempo convergendo.

Il tuo primo romanzo Zagreb è acquistabile anche in versione digitale.
Non potrebbe essere altrimenti. Già nel maggio 2011, data dell’uscita del cartaceo al Salone del Libro di Torino, era disponibile l’eBook di Zagreb. Era una semplice trasposizione del testo in versione digitale. Quest’anno, insieme alla casa editrice, abbiamo confezionato una seconda edizione digitale, eZagreb, di cui siamo molto fieri. eZagreb è uno dei primi esempi di “enriched ebook”, libro arricchito, prodotti in Italia. In eZagreb il lettore trova due libri paralleli. Uno è il romanzo, l’altro è il racconto di quello che davvero è successo negli anni di guerra in Jugoslavia. A ogni pagina, il lettore può navigare tra racconto e realtà a suo piacimento, tra testi, articoli di giornale, video e documenti ufficiali del Tribunale Internazionale.

(Non resiste alla tentazione e prende subito il suo tablet dalla borsa. Sceglie un capitolo del romanzo e mi indica un link. È il nome di una città e cliccando appare la foto)

In questo modo togli, però, il gusto all’immaginazione. Quando leggo ho il piacere di immaginare: un posto, le sembianze fisiche di un personaggio, una scena.
Ogni esperimento è una scommessa e un rischio. Sono convinto però che lo scrittore, come ogni artista, debba sperimentare e spingere la narrazione verso territori non battuti. Non è detto che ci riesca, ma è suo dovere provarci. L’idea di romanzo sta cambiando sotto i nostri occhi, insieme alla maniera in cui lo scrittore si pone al lettore, e in cui il lettore affronta la lettura. Siamo nel mezzo di un’evoluzione, alla fine della quale la parola “digitale” avrà perso di significato perché tutto sarà digitale. Esistono, infatti, più dimensioni – app per tablets, ebook, libri arricchiti, storie secondarie pubblicate in rete – e lo scrittore dovrebbe esserne consapevole nel momento in cui scrive il suo romanzo. In queste settimane ho cominciato la stesura del mio secondo romanzo. Quando scrivo, penso già alla versione digitale, e la mia scrittura è, a ogni pagina, influenzata da questa possibilità. Questa è la grande differenza rispetto alla prima generazione di eBook. I primi erano una riduzione del cartaceo, i nuovi saranno già pensati in digitale.  Cosa ne verrà fuori, non ne ho idea.

Zagreb si è ben prestato alla digitalizzazione. Un romanzo anche storico, ma tu come lo definiresti? 

(Apre il romanzo e cerca l’ultima pagina) Ecco… lo definirei con il nome dei soldati del plotone: Rat, Ljubav, Milost e Mladost. Un romanzo di amore e guerra, pietà e giovinezza.

La guerra raccontata è quella nell’ex Jugoslavia del 1991. Perché hai scelto quel periodo?
Questa è una domanda che mi viene posta spesso. Di solito rispondo con un’altra domanda. Dopo la prima guerra in Iraq, le catastrofi in Africa, la guerra in Croazia, Bosnia e Kosovo, mi chiedo: come potevo non scrivere di guerra? Mi sembra una naturale conseguenza di quegli anni. La guerra in Jugoslavia, poi, noi italiani (mi verrebbe da dire, noi europei) l’abbiamo vissuta in pieno. Ci è passata attraverso, l’abbiamo sentita sulla pelle, ma, forse, non ce ne siamo accorti nemmeno.

Si, la vita nella Base perde ogni umanità e le vittime, paragonate a sacchi di farina, hanno aspettato il loro turno, quasi intrepidi di esprimere il loro ultimo desiderio. Una possibile fuga sembra non servire perché come tu scrivi “quando c’è la guerra, la guerra è ovunque”. Una guerra che ha distrutto tutto e che non lascia al lettore nessuna speranza. Non ci sono vincitori, né vinti e chi sopravvive vive “in un mondo di morti”…  Sei riuscito a entrarci in questo mondo, a descriverlo realisticamente, ma come sei riuscito a uscirne?
Durante la stesura di Zagreb ho dovuto necessariamente immergermi nelle guerre della ex-Jugoslavia. La guerra è guerra, uno entra in contatto con racconti di persone che hanno vissuto eventi eccezionali, eccezionalmente drammatici, al limite del reale. Spesso, nel romanzo, le scene più cruente sono storie vere. Penso ai prigionieri costretti a camminare su un campo minato, alle violenze psicologiche delle prigioni, alle mine, ai bambini soldato. È stato un viaggio dentro la miseria dell’uomo, e un viaggio dentro di me. Continuamente mi chiedevo: cosa avrei fatto io, sarei stato un aguzzino, un violento, un dannato? La risposta, se uno è onesto, fa paura. La verità è che in determinate situazioni ognuno di noi può vestire i panni del carnefice. Ecco, in questo sono entrato. E non so bene se ne sono uscito davvero.

Il tuo prossimo romanzo sarà ambientato a Berlino. Città che non può non influenzarti. Chi saranno i protagonisti e quale sarà il loro quartiere berlinese?
Tre personaggi grotteschi, tutti e tre fisicamente menomati, saranno i protagonisti di una commedia nera ambientata nel cuore di Neukölln, il quartiere in cui vivo (non per caso). Ci abito da tre anni e Neukölln cambia sotto i miei occhi: le famiglie arabe e turche se ne vanno per lasciare spazio a studenti e artisti/artistoidi, vecchi negozi di vestiti usati vengono rimpiazzati da locali jazz, le strade buie si accendono di berlinesi che saltano da un locale all’altro. Nel romanzo ci sarà tutto questo: la mia vita berlinese, Neukölln e le avventure scapestrate di un nano, di un gobbo e di uno storpio.

In Italia non tornerai, o sbaglio?
Chi vive all’estero per scelta e non per costrizione sa che vivere da stranieri in un Paese straniero è eccitante come una droga. E io ne sono dipendente.