La nuova destra avanza nell’ex Germania comunista: perché?

Un palazzo di Marhzan (© Il Mitte)
destra
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di Alessandro Campaiola

Sono trascorse già due settimane dal voto che ha visto protagonista il Paese a cui tutta l’Europa guarda, e a cui ogni nazione s’ispira per stabilità, economia e coesione, la Germania. Eppure, del risultato venuto fuori dalle urne tedesche si fa ancora un gran parlare.
Quasi superfluo sottolineare che il dato che ancora alimenta il dibattito politico riguarda la prepotente ascesa delle forze di estrema destra raggruppate sotto la bandiera dell’AfD e guidate da Alice Weidel.
Per la prima volta dal sanguinoso dopoguerra che ha visto lo Stato teutonico vittima dell’occupazione del proprio suolo da parte di chi dal conflitto è uscito vincente, gli alleati da una parte, l’URSS dall’altra, il gruppo figlio di quel sentimento nostalgico verso le politiche nazionaliste del partito nazista, a cui soprattutto razzisti, violenti, ed euroscettici hanno aderito e affidato la propria preferenza, ha fatto irruzione al Bundestag, anche, soprattutto, contestualmente alla rovinosa caduta del SPD.
L’ingresso in Parlamento delle forze della destra populista si è affermato con un preoccupante 12,6%, dato su cui chiunque – dalla Cancelliera Angela Merkel, agli avversari politici, dai giornalisti, agli opinionisti di ogni genere – si è fermato a ragionare, cercando le falle del sistema che hanno permesso una così importante affermazione dell’AfD.
È dalla capitale, Berlino, che nasce, però, l’analisi più interessante e dibattuta di questi giorni ancora post-elettorali, non solo in Germania, ma nell’Europa tutta, dall’Italia, alla Francia, dalla Spagna al Regno Unito. Chi ha votato, tra i quartieri del Mitte, Prenzlauer Berg, Pankow piuttosto che Friedrichshain, per l’AfD, consentendone l’avanzata? La risposta è di facile – perché no, affrettato – giudizio, ma tutt’altro che di semplice lettura.
Sono infatti gli abitanti dell’ex DDR, la Berlino dell’Est, ad aver affidato le proprie speranze in un futuro più equo sotto il profilo sociale e lavorativo alle rappresentanze della destra, cavalcando un paradosso che, al contrario di quanto si possa pensare, ha delle ragioni ben precise da ricercare proprio negli anni successivi alla caduta del Muro.

Muro di Berlino photo
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A leggere gli editoriali, alcuni anche a firme illustri, dei giornali più autorevoli d’Europa, il motivo sarebbe da ricercarsi nelle condizioni di vita dei cittadini della vecchia Berlino Est e nel fatto che i trent’anni sotto il controllo della DDR avrebbero lasciato buchi finanziari e sociali ancora oggi non riparati.
Che le condizioni di vita, soprattutto economicamente parlando, ai tempi della città divisa dal Muro, nella zona rossa, fossero prevalentemente metafora di povertà e scarsa libertà è indubbio e fuori di ogni lucida discussione. Lungi da noi affermare il contrario. Tuttavia, negli anni novanta, il numero di persone appartenenti all’area orientale della capitale rimaste senza lavoro, senza sussidio per i propri bambini, e con gli affitti delle proprie case popolari improvvisamente più che raddoppiati, insomma, senza tutte quelle certezze garantite dallo Stato, è risultato superiore al milione di unità. Il fenomeno della disoccupazione, quasi sconosciuto sotto il controllo del regime, è inoltre improvvisamente dilagato soprattutto tra i cittadini che in Alexanderplatz avevano il loro principale punto di ritrovo.

La fetta gestita dall’ala Ovest della Germania, prometteva inoltre benessere e prosperità, un nuovo inizio, dunque, per i cittadini rimasti troppo a lungo al buio del Muro e separati dal resto del mondo. Ciò che si è realizzato, tuttavia, è ancora oggi visibile agli occhi di tutti, con catene di fast food e centri commerciali a invadere Berlino Est e le fabbriche per larga parte costrette alla chiusura o ridotte drasticamente nel personale. L’eguaglianza sociale e la solidarietà che caratterizzavano i cittadini della DDR sono diventati motivi dello sviluppo di un sentimento chiamato ostalgia.
Per anni i nostalgici della Repubblica Democratica Tedesca hanno affidato, nel segreto delle urne, la propria voce alla sinistra estrema nella speranza di risollevare le sorti di un’intera comunità dimenticata nella capitale, guardando però sfumare, sotto i colpi dei governi di grandi coalizioni, la possibilità di veder accolte le proprie battaglie sociali.

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Il fallimento della sinistra europea, di un progetto comune che potesse ispirarsi ai valori promossi da Podemos o Syriza, ha spinto una fetta degli abitanti di Berlino Est a cercare in altri alleati i portavoce delle proprie rimostranze, i garanti delle proprie necessità. Non importa più chi, non importano più le ideologie, non importano più le bandiere, conta il risultato, e a ogni costo. E allora sì che il discorso relativo alla povertà, alla mancanza di istruzione e cultura può finalmente trovare riscontro concreto, ecco che il comune denominatore di quest’improvviso cedere al fascino dei fondamentalismi si forma nella reazione al disastro economico e sociale creato dalle politiche economiche discriminatorie post caduta del Muro.

Soltanto pochi giorni fa, a Berlino, ricorreva una festa che soprattutto in tempi come quelli che stiamo vivendo andrebbe onorata e rinvigorita nelle idee: la riunificazione. Ciò che doveva essere è stato, però, solo in parte e solo per qualcuno. Nessun nuovo muro sarà mai la soluzione, tantomeno, la diseguaglianza sociale nata dagli squilibri di sistema nati dopo il 1989.
Cedere alla propaganda di chi di muri parla con fierezza, che sbandiera la difesa dei propri confini anziché il progressivo abbattimento verso un’Europa e un mondo veramente, finalmente, unito, è una strada pericolosa da percorrere tanto per i figli dell’Est, quanto per quelli dell’Ovest. L’unica via realmente auspicabile è quella di una vera riunificazione che, però, sembra ancora molto lontana.