Tutti uguali, ma diversi: quanto sono integrati i diversamente abili, in Germania?

diversamente abili

di Cristian Luca Andrulli e con il contributo di Amelia Massetti

Quando parliamo in Germania del contesto legato ai diversamente abili, la nostra attenzione è più rivolta alle istituzioni tedesche da rispettare che al senso di malcontento e alle difficoltà in cui si trovano molte famiglie.
“Tutti uguali ma diversi” e la diversità, sottolineo, non deve essere confusa come un impedimento.
Durante alcune ricerche e dopo aver ottenuto alcune informazioni nel corso del mio avvicinamento ad associazioni tedesche che si occupano di tutelare soprattutto le famiglie e gli stessi assistiti, mi sono reso conto delle difficoltà esistenti e spesso legate alla burocrazia tedesca, di cui tutti dovremmo beneficiare in un Stato di diritto.
La Germania non solo divide i bambini con una difficoltà motoria o intellettiva o di relazione sociale dalla nascita per la formazione di classi scolastiche, ma adotta metodi che in Italia risultano essere obsoleti.

In Italia l’abolizione delle classi differenziali si ha con la Legge 517/1977, che individua modelli didattici flessibili in cui attivare forme di integrazione trasversali, esperienze di interclasse o attività organizzate in gruppi di alunni eaffidate ad insegnanti specializzati o di sostegno. Le classi speciali che esistevano anche in Italia si sono dimostrate un fallimento nel campo dell’apprendimento e discriminatorie sul piano sociale ed educativo, oltre ad essere un’ulteriore umiliazione verso le famiglie.
Il diritto a cure e sussidi non sempre mette gli assistiti nelle condizioni di potersi integrare, in quanto l’iter che spesso bisogna affrontare si lega a dinamiche complesse e spesso poco comprensibili.

L’Associazione Artemisia, di cui spesso parliamo sulle pagine del nostro magazine, vuole diventare un punto d’incontro per genitori che, oltre ad aiutarsi vicendevolmente per informarsi sull’iter burocratico al fine di accedere ai contributi e ai diritti delle persone disabili in Germania, hanno voglia di discutere delle varie problematiche relative all’inserimento scolastico e lavorativo e più in generale del concetto dell’inclusione nel tessuto sociale tedesco.
Compito dell’associazione è quindi garantire sostegno e supporto a famiglie italiane con figli “tutti uguali ma diversi”, che talvolta possono incontrare difficoltà, non solo per motivi culturali, ma anche logistici e di linguistica burocratica, talvolta complessa da comprendere anche dagli stessi tedeschi.

Mi preme porre l’attenzione sull’aspetto legato agli “ammortizzatori sociali” che in Italia sono carenti, deficitari, e che in Germania invece vengono elargiti con sussidi di natura soprattutto economica, senza dare la priorità alle competenze degli operatori del settore. Questo, purtroppo, anche a causa dell’eccessivo numero di figure professionali che non hanno una vera e propria regolamentazione nel contesto tedesco e che sono considerate solo figure d’aiuto non specializzate o in procinto di specializzarsi.

Da alcune testimonianze di famiglie italiane emerge il riscontro generalizzato di una scarsa professionalità e il confronto con un numero consistente di figure retribuite, ognuna con qualifiche e mansioni diverse per gli assistiti, come se avere la garanzia di molte figure possa in qualche modo aiutare i singoli. Da un lato questo approccio potrebbe anche andare bene, si dovrebbe però riuscire a garantire una continuità nel tempo che non disorienti le famiglie con un eccessivo numero di operatori.
Ho concentrato i miei approfondimenti, in qualità di mediatore culturale, sulla sindrome di Down e ho capito che in Germania ci sono troppe scuole di pensiero, ma una limitata capacità di trattare allo stesso modo le persone Down. In Italia ci sono esempi anche di persone laureate con la sindrome di Down o di scrittori, poeti come Maria Chiara Coco. Le battaglie di molti genitori italiani in Germania partono proprio da questo limite e dalla possibilità di riuscire un giorno a integrare i loro ragazzi nella società con un ruolo attivo. E un mero supporto economico spesso non sostituisce quell’integrazione che dovrebbe rendere autonomo chi invece, purtroppo, spesso non viene considerato tale.

Il prossimo appuntamento di Artemisia è con “Dialoghi danzati“, in collaborazione con la Compagnia di Teatro Danza della Mia Misura