“Sehnsucht”: il cielo è rosso

“Sehnsucht” è l’unione di due arti. È la scrittura unita alla fotografia. È l’ispirazione del momento. È un attimo di vita. È la ricchezza del dettaglio. È il sogno ad occhi aperti. È la voce dell’anima. È la malinconia e la gioia. La vittoria e la sconfitta. È la ricerca. La lotta. Il pensiero e la parola. La voce e il silenzio. È l’istinto. È l’ispirazione. “Sehnsucht” siamo noi e siete voi. “Sehnsucht” è il desiderio di desiderare.
Una rubrica a cura di Valerio Polani e Cesare Zomparelli

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Tempelhof è quel posto in cui si viaggia da fermi. Quel posto in cui, se ti siedi a bere una birra guardando il tramonto, ti sembra di poter andare dove vuoi.
Può sembrare un paradosso, senza dubbio. Lo so.
Tutto sommato era un aeroporto, chissà quanti milioni di passeggeri hanno preso un aereo, da lì, per iniziare un viaggio. Chissà quanti altri, invece, ci sono arrivati come ultima destinazione. Sarà l’alone di magia, forse qualche effetto placebo, ma Tempelhof fa viaggiare sul serio.
Guardi la pista e ti sembra di vedere l’infinito.
Guardi il tramonto e ti sembra di vedere l’universo.
Guardi i ragazzi in skate, gli altri in bici, cani a spasso e giovani coppie.
Vedi attimi di vita, così tanto normale quanto magica.
Immagini gli aerei, raffiche di vento, valigie, saluti di gioia e pianti.
Ci sei dentro.
Sei uno di loro.
Osservi, silenzioso, il mondo. Lui ricambia, ti scruta, ti guarda, ti studia. Ti parla senza emettere alcun suono. Percepisci il silenzio come la tua dimensione e ci sguazzi dentro, a bordo di un aereo, forse.
Sei solo ma circondato dal tutto, sei una delle pedine interscambiabili che compone il momento. Non sei la più importante di esse, ma insieme ad ognuna di loro componi un puzzle indissolubile.
È quel momento in cui tutto avviene, e non per caso. Quell’attimo in cui impari a conoscerti meglio. A parlarti, ad ascoltarti.
Quelle persone sono lì, perché è così che deve essere. Ne fai parte, loro sono te, tu sei loro. Non vi conoscete, non volete conoscervi. Qualcuno ti passa davanti, gli sguardi si incrociano, vi sorridete. L’attimo dopo è tutto uguale.
Puoi vedere, ma ti senti cieco. Osservi loro, ma vedi dentro di te. Li senti parlare, ma non li ascolti.
Giochi la tua partita con loro e non lo sai nemmeno.
Lo fai sempre, ogni volta che ti fermi lì a bere una birra dopo lavoro. Ogni volta che ne hai voglia. Pochi minuti che ti fanno bene. Qualche manciata di secondi che ti cambia la giornata. Tempelhof ti fa bene. Ti rende vivo. Ti rende forte. Ti avvolge, ti cattura, ti culla, ti ispira. Tu lo respiri e lui respira te. È quel posto a cui pensi quando ti chiedono: “qual è il tuo posto preferito?”. È quel posto dove vai in automatico, quel posto in cui vai quando hai bisogno di muoverti, di andare da qualche parte ma non sai dove, e le gambe ti portano lì, da sole. Come telecomandate da un cervello calamita che segue la sua parte metallica.
Ti piace sederti e rilassarti. Sentirti così piccolo, ma così grande nello stesso momento.
Tempelhof è così che ti fa sentire. E ne sei dipendente.
Ti guardi ancora intorno, tra poco dovrai andare. Non prima di aver finito la tua birra. Accendi l’ultima sigaretta.
Il cielo è rosso. Lo pensi per un po’, osservando il sole scendere lentamente.
Fa un po’ freddo. Sicuramente di più di quando sei arrivato. Ti metti una felpa e bevi un altro sorso di birra.
Hai un messaggio sull’iPhone: “Dove sei?”
Non lo sai.
Guardi davanti a te. Di nuovo.
Il cielo è rosso.