Eleganza e bellezza. Rifugiati in metropolitana

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di Giulia Carobene

È un tardo pomeriggio di inizio marzo. Linea U8. La metropolitana viaggia in direzione Hermannstrasse. Si ferma ad Alexanderplatz. Il treno si svuota. Si riempie. Riprende la sua corsa.

Un uomo sulla quarantina, casacca grigia, pantaloni di lino chiari e sandali infradito siede accanto a due bambini che, silenziosi e composti, si stringono in un sedile. La forte somiglianza dei tratti rende facile pensare si tratti dei suoi figli. La più grande, di circa tredici anni, ha i capelli folti e neri, gli occhi scuri, le labbra rosee e carnose. Indossa un cappottino rosso. Le maniche troppo corte non le coprono i polsi. Nonostante ciò stringe fiera i manici di una piccola borsa verde. Ogni tanto si accomoda una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Muove le labbra mentre cerca di leggere tra sé e sé le insegne pubblicitarie affisse sui finestrini di fronte a lei.

Il bambino, più giovane di alcuni anni, poggia la testa sulla spalla della sorella. Ha sonno ma non riesce a dormire e spalanca gli occhi di scatto appena la voce dell’altoparlante annuncia la stazione successiva.

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Il bambino sgranchisce le gambe e si rivolge al padre in una lingua dolce, che viene da lontano. Molto probabilmente dal Medio Oriente. Forse dalla Siria. Il bambino si guarda i piedi e si rivolge nuovamente al padre, che gli dice qualcosa e gli accarezza la testa. Come il padre, anche il figlio porta sandali infradito di gomma, che però calzano troppo stretti. I suoi piedini paffuti sono rossi e segnati da ambo i lati.

Quando un’anziana signora entra nel vagone della metropolitana e si stringe tremolante tra i passeggeri cercando di afferrare uno dei sostegni, il padre dei due bambini si alza e le cede il posto, offrendole il sedile con un gesto elegante della mano e un sorriso. Poi si rivolge ai suoi figli, che si stringono ancor di più l’uno accanto all’altra per non disturbare l’anziana. L’uomo, che afferra uno dei sostegni sopra la sua testa, si mostra ora in tutta la sua grandezza: di forte costituzione, appare massiccio come una montagna e, ciò nonostante, mostra fattezze di un’eleganza antica. Dagli zigomi alti come due dune di sabbia si aprono a raggiera rughe sottilissime.

Il treno frena. Kottbusser Tor. Inavvertitamente l’uomo spinge un passeggero cercando di far posto alla gente che si appresta a scendere. Alza una mano in segno di scusa e sorride. Si rigira e si scontra con una donna alla sua sinistra. Alza una mano in segno di scusa e sorride nuovamente. “Schau mal!” – “Guarda un po’!”, esclama stizzito un giovane che, seduto accanto ad un amico, assiste al goffo tentativo dell’uomo di farsi piccolo per fare spazio. “Neanche in metropolitana son capaci di viaggiare”. “Lui si è alzato, tu no”, gli rinfaccia l’ anziana. Il ragazzo borbotta qualcosa mentre il treno riparte.

Hermannplatz. L’uomo dice qualcosa ai suoi figli. I bambini si alzano in piedi e non appena le porte si aprono sgambettano silenziosi dietro di lui. La bambina porta degli stivaletti rossi con un po’ di zeppa. Devono essere più grandi di qualche numero perché il piede appare sproporzionato in confronto alla sua altezza. Ciò nonostante cammina a testa alta e prende il fratello per mano per poi scomparire dietro al padre, tra la folla.

Ho trovato una grazia, un’eleganza e un’educazione in quest’uomo e nei suoi figli, da voler riportare e quindi descrivere la scena alla quale ho avuto modo di assistere. Berlino, che ormai è risaputo essere un coacervo di culture diversissime, offre ogni giorno, se si osserva bene, la possibilità di riflettere e di vivere da vicino il momento storico e sociale al quale apparteniamo.

Secondo il ministero degli interni soltanto nei primi mesi del 2016 sono arrivati a Berlino circa 11.800 rifugiati. Da qui alla fine dell’ anno si prevede l’arrivo di altre 50.000- 60.000 persone.

La maggior parte dei rifugiati che entrano in Germania provengono dalla Siria.

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