Single a Berlino? Smettiamola di dicotomizzare

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di Paola Moretti

Non scambiatemi per l’ultima delle romantiche, affacciata alla finestra sospirante, mentre aspetta il grande amore che le venga a decantare poemi stile Cyrano; ma recentemente sto pensando molto alle relazioni sentimentali.

Negli ultimi anni ho notato un proliferare esponenziale di articoli sull’essere single  a Berlino, e non (solo) su riviste come “Grazia” e “Donna Moderna”. Ho trovato reportage tanto accurati quanto allarmisti, nei quali veniva riportato che il numero delle donne esubera quello degli uomini e che quindi alcune sono destinate, puramente per cause matematiche, a rimanere spaiate. Altri testi contenevano interviste di giovani disilluse che categorizzavano le esperienze passate con etichette come: “ l’eterno bambino”, “l’innamorato per due settimane”, “quello che si è dissolto nel nulla”.

Credo urgano due appunti: primo, strano che questo genere di articoli nel 90% dei casi è scritto da una prospettiva femminile, come se fossero solo le ragazze ad essere alla ricerca dell’amore, e i ragazzi quelle bestie indomite da dover “accalappiare”. Secondo, ancora più strano che si parli solo di coppie maschio-femmina, come se tutto il resto non esistesse. Fingendo che queste due questioni non siano già sufficienti a far smettere di leggere questo genere di “informazione”, ho continuato a riflettere sul tema.

A quanto si dice sulla Berliner Zeitung, più di metà della popolazione berlinese è single. Quello che cercano i giovani abitanti sembra essere, sia nel lavoro che nelle relazioni amorose, flessibilità. Luoghi tipicamente adibiti alla socializzazione, come club e bar, qui pullulano di solitari che ballano guardando solo la consolle o che non alzano gli occhi dal proprio notebook. Allo stesso tempo però, la capitale tedesca sembra essere roccaforte di applicazioni come “Tinder” e “Happn”. Da letture e conversazioni si evince che la necessità maggiore di chi vive a Berlino sia il sentirsi libero; poco stress, pochi vincoli e la spontaneità nei rapporti, intesa alla maniera tedesca come assenza di pianificazione. Le statistiche parlano chiaro insomma, qui alla gente piace farsi gli affari propri.

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Qualcosa non quadra allora. Se il responso delle indagini sul campo fosse stato che alla popolazione locale interessano cose come “mettere su famiglia”, “sistemarsi”; se fosse emerso che qui si dà valore soprattutto a “stabilità”, “continuità”, “sicurezza”, allora capirei il tono melodrammatico dei sopracitati articoli sulla singletudine a Berlino, ma non mi pare sia questo il caso. Sarà mica come la storia delle modelle dei cartelloni pubblicitari, che per essere bella devi misurare 90-60-90? Non è che cercano di propinarci ancora l’idea che per essere appagato e realizzato devi avere un partner fisso? Dai, persino mia nonna l’ha smessa da un pezzo di chiedermi quando mi trovo un bel tedesco.

Qualche tempo fa parlavo con un estraneo, definibile signore per l’aspetto, ragazzo per i discorsi. Era un uomo di quarant’uno anni, chiacchierando viene fuori che ha una compagna da diverso tempo, ma che vive in un monolocale. Più tardi ho pensato a che effetto avrebbero prodotto queste affermazioni su un interlocutore più anziano di me e possibilmente del sud Europa. Che ne so, su mia madre, per esempio. Magari lo avrebbe eletto per direttissima tra quelli che non si vogliono impegnare, oppure gli avrebbe dato dello sfigato, addirittura dell’inquietante. Forse no, ma sicuramente si sarebbe posta delle domande. Ed è qui che io sento che c’è qualcosa che non funziona: perché potrebbe far perplimere l’idea di un quarantenne che non vuole vivere con la sua compagna? Perché cercano ancora di far passare l’idea che essere single sia alla stregua di uno stigma sociale, ai giovani della così detta generazione y, quelli che sono cresciuti in famiglie patchwork, quelli che da tempo hanno capito che trovare l’amore della vita a vent’anni era un’illusione dei loro nonni?

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Ma soprattutto, perché questi discorsi vengono fatti in città come Berlino, quando da dopo la seconda rivoluzione industriale la metropoli è automaticamente sinonimo di individualismo, solitudine, alienazione?  Immagino che come me altri, se avessero voluto la villetta a schiera ed essere in attesa del secondo figlio prima dei venticinque avrebbero scelto altre mete, magari sarebbero rimasti tranquilli in provincia. La verità è che le priorità per molti sono cambiate, sempre più persone valorizzano l’accumulo di esperienze personali e la propria formazione come individuo più della condivisione del quotidiano con un’altra persona. Per lo meno sembra che, se possibile, ci si preoccupa di trovare un partner solo dopo aver trovato la propria via. E’ un ragionamento che fila, in cui non ci vedo niente di male, così come non trovo niente di male nel voler abbassare la media di età della popolazione di Rocca Morice figliando a più non posso. Scelte di vita.

Quello che mi urta invece è questa tendenza arrogante e semplicistica di molti esseri umani a voler dicotomizzare sempre tutto in giusto e sbagliato, in socialmente accettabile e strano. Ancora peggio se lo si fa in base a valori e concezioni che sempre meno rispecchiano l’opinione del pubblico a cui ci si rivolge.