Pasolini Roma: critica della mostra da 100mila spettatori

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di Bianca Battaglia

La mostra Pasolini Roma, al Martin-Gropius-Bau dall’11.9.2014 al 5.1.2015, ha raggiunto tre settimane fa il traguardo dei 100.000 visitatori.

È bastato uno sguardo scettico e il commento ufficioso del venditore del biglietto, comunque, a ridimensionare quello che sembrava un numero di tutto rispetto. Un negligente, inarticolato mäßig besucht ha lasciato intendere che, in effetti, non v’è nulla d’eccezionale nel fenomeno Pasolini Roma – Berlino. Qualche insistenza è valsa una valutazione blanda riguardo alla composizione dei 100.000: tanti turisti ma anche autoctoni, tedeschi di varia provenienza e berlinesi d’adozione.

Aprono l’esposizione poche frasi tratte da Poeta delle Ceneri, applicate direttamente sul muro. Una scelta significativa, che calca un po’ la mano su una certa chiave di lettura: “Ho vissuto […] quella pagina di romanzo, l’unica della mia vita: / per il resto, che volete, / son vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso”). Pasolini ossesso, dionisiaco, eccessivo, provocatore.

Pochi metri dopo una cartina d’epoca di Roma costellata da bandierine che segnano luoghi significativi del primo periodo nella capitale: l’appartamento della famiglia Pasolini a via Giovanni Tagliere; Ciampino, dove l’intellettuale svolse l’attività d’insegnante per pochi soldi. Interessante l’esposizione di opere pittoriche friulane, un lato decisamente meno noto della produzione pasoliniana: le pennellate essenziali sembrano cogliere meglio di qualsiasi fotografia il bel volto duro, angoloso di Pasolini, che si ritrae (1947), sbarazzino, con un fiore in bocca.

Testimonianze audiovisive, fotografiche, numerosi estratti dall’epistolario di Pasolini ma anche versi, impressioni, brandelli di prosa accompagnano il visitatore in un percorso bio- e geografico che divide il soggiorno di Pasolini a Roma in sezioni tematiche. Dopo l’antefatto friulano, l’esposizione si dedica perciò ad esplorare la produzione romana del poeta: una panoramica che parte dai primi romanzi, come Ragazzi di Vita, seguendo nel dettaglio lo sviluppo di diverse produzioni cinematografiche — Accattone, Mamma Roma, La Ricotta passando da Uccellacci e Uccellini fino a Salò o le 120 giornate di Sodoma — con testimonianze della loro genesi (sofferta), le sceneggiature (soprattutto bozzetti minimalisti ma straordinariamente espressivi), e nutriti reportage dietro-le-quinte in forma di scambio epistolare o fotografie sul set. Tutto questo costellato da accenni, a volte un po’ inconsistenti, alla vita privata, all’amicizia a tratti conflittuale con membri dell’intellighenzia, all’esplorazione delle borgate (la compilazione del suo glossario romanesco-italiano merita più di un’occhiata!), gli amori contrastati, gli scandali, il progressivo estraniamento dalla città di Roma, dell’“abiura” e della morte violenta.

Al circolo romano, da Morante a Moravia, da Garzanti a Calvino, è dedicata una sezione di ritratti in bianco e nero. L’ensemble fotografico scivola leggermente verso quel gusto ricercato e un po’ glamour tipico dei ritratti dell’élite intellettuale, noti altrimenti solo come volti sfocati intravisti dietro parole, opinioni, polemiche sui quotidiani. Nella sezione cinematografica i bozzetti fatti a matita si accompagnano a fotografie sul set, fotogrammi tratti da produzioni celebri come La dolce vita, della cui sceneggiatura si occupò anche Pasolini.

Molto si insiste, soprattutto nelle ultime sale, sul potenziale scandalistico della sua opera, sul Pasolini “uomo contro”, sui processi, sulle polemiche e sulle visioni “profetiche”. Un’altra impresa encomiabile è la menzione dell’ultimo incompiuto di Pasolini, il gargantuesco romanzo Petrolio: a questo si accompagnano articoli di giornale e un paio d’interviste che svelano i temi cari al Pasolini dell’ultimo periodo. Il consumismo come effetto del biopotere, dell’intrusione del politico nel privato, come egemonia sui corpi, la quale porta ad un’omologazione che include quei ceti popolari da Pasolini tanto amati e, di conseguenza, al “genocidio delle culture viventi”.

Pier Paolo Pasolini è oggetto al momento di un revival senza precedenti — ricordiamo che il 2015 segnerà un quarantennio dalla sua morte: la monografica al Martin Gropius Bau è stata accompagnata da una serie di eventi e discussioni collaterali in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, tra cui un’intera giornata di studi a lui dedicata. Vi ha partecipato tra gli altri Dacia Maraini in veste di testimone ‘oculare’, mentre Walter Siti, curatore dell’edizione integrale delle opere di Pasolini per Meridiani Mondadori, ha fornito una lettura critica, da esperto. Il moderatore Peter von Becker ha prevedibilmente sollevato l’argomento della morte di Pasolini ‘mistero d’Italia’, salvo poi passare ad un altro aspetto scottante della biografia pasoliniana, quello della pederastia. Due temi sicuramente importanti, sui quali si insiste molto, e che continuano, però, almeno collateralmente, a distogliere l’attenzione da lati più complessi ed oscuri della poetica dell’autore, puntando ad un sensazionalismo scandalistico che contribuisce alla costruzione di un affascinante, e vendibile, ‘anti-mito’ Pasolini.

Fazit: una mostra certamente complessa, dietro la quale si intravede la scelta di far parlare il ‘reperto’, eclissando la curatela. Il tentativo sembra a più riprese quello di suggerire un’atmosfera, testimoniato da diverse proiezioni che mostrano angoli della capitale cari a Pasolini come sono oggi. Se da una parte tale strategia tende ad avvolgere lo spettatore, dall’altro forse impedisce di penetrare una figura tanto complessa e ‘straniera’ rispetto al panorama tedesco e alle giovani generazioni italiane. Proprio questa critica trapela dalle note scritte in tedesco sul guestbook: difficile senza un approccio informativo dirimere e seguire tante delle testimonianze immediate in esposizione. L’effetto generale finisce per soffrire di un allestimento che, nonostante la cura estrema dei dettagli, tende a risultare a volte — per chi non è romano e/o studioso di quest’autore — piuttosto ermetico.