Il mio primo appuntamento con Berlino

© Ghita Katz Olsen / CC BY NC ND 2.0
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di Laura Vitali

Ossessivo picchiettio di dita contro il vassoio dell’aereo, labbro inferiore stretto in una morsa letale, gli occhi persi tra il grigio della pista d’atterraggio e il chiarore del cielo. Dopo lunga e penosa indecisione ho optato per lei, per andare a conoscerla di persona.

Non avevo sentito grandi cose sul suo conto, ma esclamazioni del tipo “è cinerea” e “dopo due giorni ti annoierai a morte” non mi hanno saputo fermare. Del resto, era molto tempo che volevo fare la sua conoscenza. Finalmente il comandante annuncia che siamo atterrati, e piena di speranze inizio la mia avventura.

All’uscita dall’aeroporto, però, dopo un primo giro della città, una sensazione di apatica tristezza si fa strada strisciando tra le mie vene: avevano ragione loro, annuncia il tono grave dei miei pensieri, lei è orribile. Dopo il naturale e fanciullesco entusiasmo, questo è il mio drammatico, liturgico, solenne primo pensiero.

Se, e solo se, la prima impressione fosse quella che conta, anche io sarei inevitabilmente caduta nella trappola della menzogna: Berlino è orrenda. Questo ho pensato. Ho pensato che avrei potuto viaggiare verso un’altra meta, ho pensato che il primo viaggio all’età di 18 anni appena compiuti non avrebbe dovuto essere in una città così disarmonica, così deprimente. Io, abituata alla dolcezza dei paesaggi italiani, persa nella desolazione di Potsdamer Platz.

Ma l’experientia, “magistra stultorum”, mi ha insegnato che non è sempre la prima impressione quella che conta, che la bellezza sta nel cercare l’ameno nel non ameno, nel guardare oltre i canoni prestabiliti, oltre la meravigliosa, dolce, noiosa abitudine di un paesaggio umbro o di una città figlia del Dio design e della matematica architettonica.

È anche questo il senso del viaggio, scoprire che una città brutta come Berlino possa offrirti così tanto, scoprire la gioia di sedersi in metro, gustando il silenzio o conversando amabilmente con completi sconosciuti, girare in bicicletta alle tre del mattino senza avere paura, percepire una sicurezza nuova, sentire di essere nel posto giusto al momento giusto, smettendola finalmente di visitare, come un qualsiasi turista con il cronometro, solo i musei e il checkpoint Charlie, optando invece per un concerto improvvisato al Tempelhofer Feld o una birra fresca dietro alla East Side Gallery, seduta tra i fili d’erba che solleticano le dita, al fianco di quei chitarristi francesi venuti dal loro paese con una chitarra, le tue paure e le tue piacevoli rivelazioni.

Berlino, dolce Berlino. Così giovane, ma così saggia, ne hai passate tante. Dopo la guerra volevano fare di te una città libera, una città di pace, e invece ti hanno divisa in parti, denudata e smembrata nel profondo della tua identità e unità-unicità di ente, ma non ti hanno uccisa, questo no.

Non lo sapevi, allora, come saresti diventata bella oggi, come saresti stata diversa, tra minoranze etniche e culture diverse a popolarti, mi hai fatto sentire, per la prima volta, che le barriere sono nei nostri occhi, che siamo noi a erigerle, a volte per necessità, altre per codardia.

Mi hai insegnato, Berlino, la gioia di stringere amicizie arcobaleno, che la cucina vietnamita non fa per me, ma soprattutto mi hai portato a riscoprire il valore sì della fiducia, ma anche della curiosità, quella forza invisibile che muove il mondo, che ci spinge a guardare con gli occhi più sinceri e infantili la bellezze intorno a noi. Ora lo so, lo so che posso essere felice anche senza niente, anche in un aeroporto abbandonato, anche nella solitudine della metropolitana alle cinque del mattino, anche sotto il silenzio del cielo più nuvoloso.

Ero maestra nell’arte del pregiudizio. Grazie per avermi guarita, e scusami se ti ho giudicata male, ora non riesco a non fare di te il mio termine di paragone con tutte le altre. Saranno anche più graziose di te, Berlino, ma credimi se ti dico che non possono competere. 

Sei da gustare, da gustare ad occhi chiusi, e sei la sorpresa più grande della mia giovane vita.

6 COMMENTS

  1. Hai la mia età e mi sono sentita proprio come te, un anno fa quando ci andai con mio papà.
    Mi hai fatto tornare in mente quanto mi sia piaciuta, quanto fossi felice là, quanto mi sentissi a mio agio. Mi hai dato una ragione, brillantemente espressa, una di quelle che posso esibire alla domanda che mi pongono spesso “Perché vuoi andare a vivere a Berlino?” :)
    Inutile dirlo, bellissimo articolo :)

  2. sapere che a 18 anni una ragazza italiana apprezza la diversità e affronta con entusiasmo le novità mi rincuora davvero! Berlino ha tanto da insegnare a tutto il mondo senza il tono del professore su una cattedra ma con l’umiltà di un popolo che ne ha passate tante e che rinasce sempre nonostante le sconfitte… grazie Laura!

  3. …quasi mi fai piangere dall’emozione…. Ho amato Berlino dalla prima volta che l’ho vista nel 1990 per studio, sono ritornata per amore nel 1991. Quest’anno dopo ben 23 anni ho avvertito una forte spinta interiore e ci sono ritornata finalmente anche con mio figlio di 8 anni. Berlino la puoi lasciare, te ne puoi allontanare, ma prima o poi ti rivuole là, sempre, continuamente…. Berlino la si può vedere solo con il cuore, gli occhi vedono solo una minima parte… Berlino deve entrarti lentamente nelle vene e solo in seguito capisci dove risiede la sua bellezza unica inconfondibile… Berlin, Du bist so wunderbar…Come dice il caro Udo Lindenberg…Seid wilkommen in Berlin!… Jolanda

  4. Io inizierò a gennaio una nuova vita a Berlino, un nuovo lavoro stimolante, nuovi colleghi, tutto nuovo…conosco ancora poco la città ma mi ha dato subito una sensazione positiva e sono convinto che non potrà che stupirmi…a presto Berlino

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