Venus 2013, la fiera del sesso dove il sesso non ha odore

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© Il Mitte

di Claudio Mellone

Girando per i saloni di Venus, 17esima fiera berlinese dell’erotismo, ci si accorge di come nell’aria non vi sia alcun odore; ci si aspetterebbe di sentire il sudore, la gomma, la polvere, la segatura, il caffè, i cibi mangiati in fretta, ma non si percepisce niente di tutto questo.

Il rumore che invece la fa da padrone è il vocio perenne e insistente di una delle due tipologie di visitatori della fiera: quelli che scattano fotografie, e che sono la stragrande maggioranza. Sono uomini che si muovono con macchine e telecamere riprendendo qualsiasi esibizione, estemporanea o meno, di qualsiasi femmina discinta che esca dal suo stand e si metta a camminare, ad ancheggiare o a improvvisare un balletto erotico sulla moquette.

La seconda tipologia di visitatori comprende invece quelli che fanno acquisti. Sono soprattutto coppie, alcune molto giovani, altre più mature. Camminano con in mano buste piene di oggetti e vestiti, fanno shopping senza alcun imbarazzo, si fermano al grande palco degli spettacoli, mangiano ad uno dei vari imbiss allestiti nella fiera. Il clima è rilassato ma non ammiccante, l’atmosfera moderatamente libertina ma mai pecoreccia.

Gli stand

Ci si rende conto, passeggiando fra gli stand della mostra, di quante variazioni sul tema offra il mercato dei giocattoli sessuali. Rimarchevole è ad esempio un’azienda la cui estetica è palesemente ispirata a quella di Apple e che impernia la sua produzione su oggetti “belli oltre che funzionali”: dozzine di vibratori tutti diversi sono poggiati su un espositore rotondo, un gruppo di ragazzi e ragazze sui vent’anni li prende in mano, li esamina, si informa sui loro differenti usi. Sono singoli, doppi, mini, di vetro, a controllo remoto, “lay-on”, “bullet”, “ring”. Sono morbidi, sinuosi, lattei: oggettivamente dei bei pezzi, buoni anche come fermacarte o soprammobili per persone originali e alla moda.

Poco più in là un ometto attempato, con minuscoli occhiali tondi poggiati sulla punta del naso, sta in piedi dietro ad un piccolo tornio mentre la moglie si occupa della clientela. Lui è un esperto falegname e sta lavorando su un cilindretto che ruota fra la punta e la contropunta della macchina: sette anni fa la sua azienda ha iniziato a specializzarsi nella produzione di vibratori in legno e il suo catalogo si è col tempo arricchito di un’ampia scelta di articoli, tutti verniciati e smaltati con un prodotto atossico in grado di prevenire la formazione di preoccupanti schegge. Alcuni hanno al loro interno un corpo vibrante, altri sono semplici dildo per penetrazioni vaginali o anali, ognuno di una foggia leggermente diversa dagli altri.

Ci sono poi, ovviamente, i venditori di indumenti sexy, dalle semplici ma sempreverdi calze a rete ai più complessi e farraginosi outfit in latex con contorno di collari, guinzagli, borchie, fruste, tacchi a spillo. Un signore tiene in mano la borsa della moglie mentre lei sta provando un corsetto vittoriano che le stringe la vita. Un giovane osserva la fidanzata che esce da un camerino vestita con un baby-doll rosso fuoco.

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© Il Mitte

Alla fiera viene messo in vendita molto più di quello che ci si possa immaginare e sono presenti stand di ogni tipologia, alcuni davvero bizzarri e fantasiosi. In ordine sparso e casuale: un venditore di falli in cioccolata, uno di gabbie medievali da sospendere al soffitto, uno di amplificatori naturali di libido femminile in capsule, uno di apparecchi per la disinfezione anidra delle mani. E poi vasche a idromassaggio, produttori di vino (?), uno studio di chirurgia estetica presso il cui stand due ragazze tengono in mano delle tremolanti protesi di silicone per farle toccare e soppesare alle signore che passano.

Non mancano i reparti dei siti internet per scambi di coppia, o il portale tedesco di bondage, dominazione e sadomasochismo; abbondano gli spazi espositivi occupati da celebri bordelli berlinesi o da locali di tabledance, nonché da produttori di film porno e da addetti al casting. Nonostante la selva insopportabile di macchine fotografiche e le file di uomini in attesa di farsi riprendere abbracciati a questa o quell’attrice porno, il tutto è comunque immerso nell’atmosfera professionale tipica delle fiere tedesche, siano esse di trattori, di barbabietole, di imbarcazioni da diporto o di prodotti e servizi erotici.

Viste da lontano – la passerella

Nell’ultima sala della fiera, la più lontana, è montato un grande palco illuminato di blu scuro. Intorno alla passerella che sporge verso la platea sono radunati molti uomini che aspettano l’inizio dello show. Hanno età variabili dai venti ai sessanta anni, un aspetto ordinario da frequentatori diurni di U-Bahn e un’aria del tutto innocua. L’atmosfera è di sonnolenta attesa, alcuni confabulano tra di loro, altri guardano il cellulare. Al centro del palco è sistemato un pouf bianco quadrato, alla sinistra invece una automobilina cabrio, replica in piccolo di una sportcar. Ai lati del palco due grandi schermi trasmettono l’immagine di alcune fiamme in movimento che, a ben guardare, non sono altro che i colori della bandiera tedesca. Viene diffusa musica senza un criterio apparente alternando, fra gli altri, Tschaikovski a Bryan Adams.

Alle ore 15.00 in punto entra il presentatore: la camicia gli copre una pancia importante, ha in mano un foglietto di carta e un microfono. Nel frattempo sono arrivate altre persone e l’ambiente è più affollato: ci sono anche le coppie, alcune con l’aria di essere passate di là per caso, quasi si fossero fermate ad ascoltare il comizio di un politico o le offerte di un venditore ambulante di stoviglie. L’uomo sul palco chiama una coppia di bionde a fare il loro spettacolo, le stesse due bionde che pochi minuti prima si erano infilate zitte zitte dietro le quinte. Adesso sono su: girano intorno al pouf, si toccano i loro enormi seni, prima i propri e poi quelli della collega. Una delle due, la più robusta, è in tutu. La musica è altissima, le persone sollevano in alto macchine fotografiche, telecamere e telefonini: è un tripudio di flash e di scatti.

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Le bionde ancheggiano, beccheggiano, si abbordano, imbardano, derivano come due scafi su un mare agitato, poi rapidamente si sciolgono dai lacci del minuscolo reggiseno in un unisono quasi perfetto. Ballano ancora, si agitano, si muovono mentre alle loro spalle un enorme schermo amplifica il loro spettacolo anche per quelli in fondo alla sala. È un attimo: basta distrarsi un secondo, ed eccole senza slip. Salgono sul pouf, si contorcono, mimano un amplesso saffico, mostrano le loro anatomie più nascoste ad una schiera di flash e poi, sullo sfumare della musica, salutano ed escono.

Il presentatore introduce una nuova artista: è sola, vestita di stivali in pelle e impermeabile nero, tiene le labbra dischiuse e in viso ha un’espressione arcigna e tenebrosa che mantiene fino al termine del suo intervento. Anche lei balla, si muove, si spoglia, si tocca, si mostra ed esce. Entra una terza, uguale alla seconda ma ancora più gotica. Fa praticamente lo stesso numero della precedente, segue il medesimo copione senza sostanziali differenze, tranne forse indugiare un po’ più a lungo sulla sua passerella. Dieci minuti: il climax dell’esibizione è raggiunto, la vagina è stata regolarmente mostrata e fotografata da tutti gli angoli e da tutte le visuali possibili ed è tempo di lasciare spazio a un’altra artista. E così via.

Viste da vicino – la pelle

Vista da molto vicino, è la pelle delle donne quello che di loro più colpisce e lascia perplessi: non i grandi seni al silicone, non i loro sguardi né i loro atteggiamenti imbarazzanti, neanche gli instabili trampoli — rosa confetto, a paillettes, trasparenti, a LED — su cui tutte, con pochissime eccezioni, trotterellano fra i vari padiglioni. È una pelle che, dal vivo, mostra tutte quelle imperfezioni che nessun esperto in correzione di immagine e di fotoritocco può cancellare: macchie, smagliature, qualche follicolo che torna prima degli altri a generare un pelo.

Una pelle già sul punto di diventare vizza, quasi fosse un organo vivente indipendente che reagisse così agli stress causati dalle abbronzature forzate, dai piercing, dai tatuaggi, dagli attriti. Si muovono con una spigliatezza talvolta fluida, talvolta meccanica; si mettono in posa di fronte alle telecamere e alle onnipresenti macchinette digitali oppure autografano le loro cartoline stampate come santini e sparpagliate sul banchetto dietro al quale siedono, appollaiandosi con fatica su degli alti sgabelli. Sono attrici porno, prostitute, ragazze immagine o tutte e tre queste cose insieme.

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I loro visi sono talvolta martoriati dal botox o da rinoplastiche venute così così, le più mature hanno i lineamenti deformati di chi da tempo è schiavo della chirurgia estetica: è difficile guardarle in faccia senza provare un sentimento che stia nel baricentro fra la compassione, il ribrezzo e il biasimo. Questi esseri umani non hanno – o hanno perduto – uno sponsor importante che le guidi e le protegga, lavorano molto spesso come libere professioniste e stanno all’estremo opposto, ad esempio, delle femmine di Penthouse che, loro sì, sono invece tutte giovani, tutte carine e tutte prossime alla perfezione.

Lo stand di Penthouse è il più grande di tutti e pullula di ragazze che cercano di vendere abbonamenti alla rivista. Per aumentare l’attrattiva, ad una certa ora entra un DJ che mette una musica house su cui improvvisa un sassofonista: le ragazze salgono tutte su una pedana e iniziano a ballare, a muoversi, a salutare il pubblico sorridendo, ad ammiccare. Sono di tutti i tipi, bionde, rosse, more, orientali, nere, alte, basse: tutte insieme, tutte strette nel top nero della rivista a saltare sui tacchi a spillo. Sono vicinissime, tanto che pare quasi di toccarle ma invece rimangono là, lontane, a muoversi nello spazio dedicato a loro, patinato come le pagine della loro rivista.

Un oggetto del desiderio, un sogno, un’utopia: gli sguardi fissi degli uomini, quelli curiosi delle donne, ancora scatti su scatti, i video che riprendono una scena che continua per ore e ore uguale a se stessa fino a perdere dinamica e a rimanere impressa sulle retine stordite, polverizzandosi e fossilizzandosi nel suo mantra cinetico e ipnotico.

La baraonda  

La visita alla fiera dell’erotismo è frastornante e dopo un po’ la curiosità lascia spazio prima al tedio, poi alla spossatezza: luci, rumori, richiami, una ressa di persone che va aumentando sempre di più man mano che il pomeriggio scivola verso la sera. L’approccio problematico con cui si è varcata la soglia della fiera svanisce insieme alle tante domande che ci si era posti all’inizio e le cui risposte, se esistono, si sono prosciugate nel deserto bulimico dei corpi mostrati con ginecologica ostentazione. La volontà di comprendere cede le armi all’incapacità di penetrare un mondo che non ammette mezze misure, non conosce sfumature ed esclude, per la sua stessa natura, colui che vuole andare più a fondo nell’afferrare i meccanismi complessi e sfuggenti della sessualità umana senza essere coinvolto nella filosofia regnante: vedere per vedere, guardare ma non capire.