Dietro le quinte del brivido: un film racconta Hitchcock

hitchcock

di Ruggero Adamovit

Si alzi il sipario: il delitto è servito. Nelle orecchie, il tema televisivo di Alfred Hitchcock presenta, sullo sfondo la silhouette panciuta e imponente del Maestro del brivido. Sacha Gervasi, già (co)sceneggiatore di The Terminal, mette in scena un biopic tratto dal libro di Stephen Rebello Come Hitchcock ha realizzato Psycho, puntellando quella che appare una florida stagione di lungometraggi sulle vite degli altri e sull’onda dei making of dedicati al grande cineasta londinese. Nel 2012 fu The Girl, produzione BBC e HBO sul dietro le quinte de Gli uccelli (1963), capolavoro successivo a Psyco (1960).

Il biopic sul Maestro della suspense si articola fondamentalmente in due bakstage: quello del set, dove sono messe in scena le peripezie produttive di Psycho (in realtà ci sarebbe piaciuto vedere molto di più) e quello casalingo, con lo sviluppo delle vicende amorose di Alma&Alfred (quest’ultimo a tratti sinceramente ingrato e stucchevole: ci sarebbe garbato vedere molto di meno). E su due livelli: il primo reale, con i sopracitati protagonisti alle prese con la quotidianità filmica e di coppia; il secondo onirico, piuttosto esile, con gli inserti delle visioni del Maestro sulle tracce dell’omicida seriale del Wisconsin.

Ci troviamo nel 1959, alla prima dell’ennesimo successo targato Alfred Hitchcock, Intrigo internazionale. Gervasi ci mostra un Sir Alfred iperrealista e dotato di ineffabile sarcasmo, avvolto dall’aura del genio e dal suo impeccabile e caratteristico aplomb britannico. Ma stanco e svuotato dalle recenti produzioni in serie, dalle collaborazioni televisive, dall’abuso di alcolici e in preda a piccole manie sessuali e infantili risentimenti che inficiano il complesso rapporto con il suo nume tutelare e artistico, l’onnipresente consorte Alma Reville. Alla ricerca di qualcosa di nuovo, di una scintilla emotiva che lo riporti ai tempi in cui, giovane e senza un soldo, con la moglie come segretaria unica e angelo custode, girare film era innanzitutto una passione e un divertimento. Decide così di portare sugli schermi, a proprie spese, il romanzo semisconosciuto di un certo Robert Bloch, quello Psycho ispirato ai sanguinosi fatti realmente accaduti nel Wisconsin rurale degli anni 50.

Un orroraccio tratto da un libro scadente, a detta della Paramount, che si rifiuta di produrlo, ma ne acconsente la distribuzione (limitata). Tra problemi di censura (la scena della doccia: storie già sentite di nudità e coltelli negli USA del 1960), difficoltà di budget (l’ipoteca sulla casa e i tagli alle spese), l’atavica ossessione per una figura archetipica di donna, preferibilmente bionda e algida (da Grace Kelly a Ingrid Bergman), il tormentato rapporto coniugale, il genio maniacale e meticoloso del Maestro che si manifesta in ogni recesso, dentro e fuori dal set (le ferree disposizioni impartite agli esercenti delle sale cinematografiche prima dell’uscita del film, il giuramento preteso da cast e maestranze di Psyco affinchè non fossero divulgati i dettagli relativi alla pellicola), nasce quello che è forse il masterpiece assoluto del grande regista di Londra. Circa 800 mila dollari di budget stimato, a fronte di un incasso worldwide che si aggira ad oggi sui 50 milioni di dollari. Da brividi.

Scarlett-Johansson

Tra i pregi della pellicola biografica, annoveriamo senza dubbio gli interpreti. Mimetico e inappuntabile il gallese Anthony Hopkins, che compie un ulteriore passo nell’olimpo del cinema, utile per scrollarsi di dosso le performance incancellabili dell’assassino seriale de Il silenzio degli innocenti di Demme e del maggiordomo di Quel che resta del giorno di Ivory. Lenti azzurre e protesi facciali per lui, il quale, esattamente come il Maestro, sfoggia una cura maniacale nel dettaglio, riproducendo alla perfezione la sagoma ingombrante (in tutti i sensi) e la mimica composta ed enigmatica del regista.

Plauso interminabile anche per l’altra veterana del set, Helen Mirren, già Queen Elizabeth the II e perfettamente a suo agio nella rappresentazione della composta e decisa signora Hitchcock, Alma Reville. Il cast di Psyco è completato dalla bella Scarlett Johansson, che sotto il rigido tubino che avviluppa i fianchi di una Marion Crane/Janet Leigh castigata ma sommessamente sbarazzina, lascia intravedere potenzialità forse inespresse, in una prova vivace ma quasi mai sopra le righe. Dall’esile e conflittuale James D’Arcy, interprete a pieno titolo delle turbe e insicurezze che affliggono la psiche del celeberrimo Anthony Perkins/Norman Bates. Da una Jessica Biel sciatta e oramai pacificata nell’ambiguo rapporto con il grande cineasta, con le sembianze di Lila Crane/Vera Miles.

Dei difetti si è già detto: la sensazione generale è quella di un biopic che calca forse un po’ troppo la mano sulla curiosità voyeuristica della coppia, affondando la lama laddove risulta essere troppo poco elegante, ma fin troppo proficuo in termini di curiosità di pubblico e di incassi al botteghino. I turbamenti legati alla sessualità e all’educazione cattolica e l’ossessione per la donna di Hitch, peraltro già ampiamente sviscerata da psicanalisti di ogni stampo e settore e già parzialmente sconfessata. In un film che si perde nei risvolti di mezzi tradimenti, (in)compiuti (?) o inconfessati, poco importa, nelle peripezie di un amico di coppia un po’ troppo piacione, uomo senza qualità, mannish boy inutile ai fini della trama e inutilizzabile nel soggetto. Un peccato. Cui rimediano dei mostri sacri della performance attoriale, in stato di grazia e che valgono da soli il prezzo di un biglietto. In attesa, e questo è forse il merito più grande ascrivibile al lavoro di Gervasi, di riesumare quel vecchio dvd in bianco e nero impolverato che langue sullo scaffale da anni, inserirlo nel lettore o nel pc, premere il tasto play e rivedere finalmente qualcosa di più concreto su Psyco, anzi (ri)vedere Psyco, 1960, capolavoro assoluto del genio del brivido.

Questo weekend, Hitchcock è in programmazione in 10 cinema di Berlino.
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