Berlino, la capitale del lavoro nero

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di Pierluigi Mennitti
(pubblicato originariamente su Lettera43.it)

Berlino continua a rappresentare un’eccezione rispetto al resto della Germania, nel bene e nel male. Il suo fascino di metropoli moderna e dinamica attira sempre più giovani e turisti da tutto il mondo, contribuendo a migliorare l’immagine di un Paese ancora legata a cliché di serietà e rigidità.

Ma quando si scende nei dettagli dei dati economici, la capitale mostra segni di arretratezza rispetto alle altre regioni tedesche. L’ultimo spunto alla riflessione è stato fornito dal rapporto sul lavoro nero, realizzato in collaborazione dai ricercatori dell’Università di Linz e dall’Istituto economico di Tubinga (Iaw) e presentato il 6 febbraio proprio a Berlino. «Mentre il fenomeno ha mostrato in tutta la Germania una contrazione nell’ultimo biennio, nella capitale i numeri sono ancora in crescita», ha riportato il Tagesspiegel.

IL LAVORO NERO IN CALO. Nel 2012 in Germania il lavoro nero, misurato in percentuale sul Prodotto interno lordo (Pil), è stato del 13,4%, il dato più basso negli ultimi 20 anni. La tendenza al riassorbimento è destinata a proseguire anche nell’anno in corso: per il 2013 gli esperti di Linz e Tubinga prevedono un ulteriore calo di 2,7 miliardi di euro del valore del comparto, portandolo complessivamente a 340 miliardi di euro. In percentuale, quindi, il lavoro nero alla fine del 2013 dovrebbe rappresentare il 13,2% del Pil del Paese, contro il 24% della Grecia, il 21,1% dell’Italia, il 19% del Portogallo e il 18,6% della Spagna.

LAVORO NERO ANCHE IN SCANDINAVIA. Il rapporto degli esperti ha confermato che il fenomeno del lavoro nero non risparmia neppure gli Stati scandinavi, tradizionalmente noti per avere un sano mercato del lavoro: Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia galleggiano attorno al dato tedesco nelle stime per il 2013, oscillando dal 13,9% di quota sul Pil di Stoccolma al 13% di Copenhagen ed Helsinki. Solo la Francia brilla con un 9,9%.

GERMANIA MEGLIO DEL RESTO DELLA UE. Non è un caso che i Paesi colpiti dalla crisi economica e finanziaria europea siano in cima alla lista nera del sommerso. «Il calo del ricorso al lavoro nero in Germania è da addebitarsi al favorevole andamento del mercato del lavoro e alla crescita economica complessiva degli ultimi anni», ha spiegato il direttore dell’Iaw Bernhard Boockmann. «Le persone hanno buone possibilità di trovare un posto nell’ambito dell’economia regolare ed è venuta meno la motivazione di rivolgersi al mondo del lavoro nero».

In Germania, come d’altronde nel resto d’Europa, le cause che spingono imprese e lavoratori nella zona d’ombra che sfugge al fisco e alle casse previdenziali sono da ricercare nell’eccessivo carico fiscale e nelle alte somme dei contributi per la sicurezza sociale. Il picco massimo registrato di lavoro nero in terra tedesca risale infatti al 2003 (17,1%), quando il Paese viveva un periodo di stagnazione economica e le riforme avviate dal governo rosso-verde di Gerhard Schröder non avevano ancora dispiegato il loro effetto positivo. «La riduzione del contributo pensionistico dal 19,6 al 18,9% a partire dal 1° gennaio 2013 dovrebbe aiutare a ridurre ulteriormente la tentazione di scivolare nel mercato nero», ha concluso dunque Boockmann.

LA CAPITALE FA PEGGIO DEL PAESE. Ma, quando si passa dalla visione complessiva del Paese a quella particolare della sua capitale, la musica cambia.
«Berlino è e rimane la capitale del lavoro nero tedesco», ha proseguito il Tagesspiegel, «tanto che nel 2012 la Società delle piccole e medie imprese del settore edile di Berlino e Brandeburgo ha denunciato alle autorità fiscali 44 cantieri sospettati di utilizzare lavoratori in nero sui 334 ispezionati».

IMMOBILIARE PRIMO INDIZIATO. Il settore delle costruzioni, nel quale al lavoro nero quasi sempre si accompagna una scarsa attenzione per le misure di sicurezza dei lavoratori, è il maggiore indiziato: si calcola che più di un terzo delle aziende operi illegalmente evadendo il fisco. Seguono le attività alberghiere e ristorazione e le officine di riparazione di auto e camion, dove la percentuale del lavoro nero si attesta al 17% e le attività di servizio legate alle famiglie (15%): lavoratori domestici, assistenza agli anziani, lezioni di ripetizione, babysitter. «Si tratta di ambiti nei quali si può lavorare abbastanza facilmente, perché non serve altro che la propria forza lavoro», ha spiegato Friedrich Schneider, ricercatore a Linz.

DANNI PER 660 MILIONI DI EURO. Secondo le sue stime, circa 8 milioni di tedeschi utilizzano saltuariamente il lavoro nero per arrotondare uno stipendio ufficiale, mentre il numero dei lavoratori completamente in nero raggiungerebbe 1 milione: in questo caso si tratta principalmente di disoccupati e pensionati, che integrano così sussidi e pensioni.I costi economici e sociali del lavoro nero sono difficilmente quantificabili. In un rapporto governativo del 2011, i finanzieri tedeschi avevano stimato danni per 660 milioni di euro sulla base di controlli in tutto il Paese su 68 mila imprese e 524 mila persone. I dati del 2012 devono invece essere comunicati.