24 Aprile, giorno dello sterminio degli armeni: tra silenzio e dialogo

© Nuria Fatych / CC BY-NC-SA 2.0
© Nuria Fatych / CC BY-NC-SA 2.0
© Nuria Fatych / CC BY-NC-SA 2.0

di Giovanni Semenzato

Berlino è il luogo della vendetta. Uno studente con un revolver in tasca sta in Hardenbergstraße, a Charlottenburg, il 15 Marzo 1921. In questo periodo ben altro tema, che quello che interessa lo studente, è sulla bocca di tutti: quanto domanderanno i vincitori dell’impero come risarcimento di guerra? Quello che è importante per lo studente invece, a quest’epoca è sconosciuto praticamente a tutti. Ha perso madre, sorelle e fratelli, uccisi perché erano armeni durante il massacro ordinato dall’impero ottomano tra il 1915 e il 1916, in piena guerra. Ad un certo momento appare l’uomo che stava aspettando, Mehmed Talât, ex-ministro degli esteri dell’impero ottomano, sparito a Berlino dopo il tracollo dell’ impero. Ha lasciato il suo nascondiglio per comprare del tabacco. Lo studente punta la pistola e spara.

Il suo nome è Soghomon Tehlirian, per molti armeni divenuto un eroe nazionale grazie al suo gesto. L’uomo che ha ucciso invece, Mehmed Talât, è tra i principali ideatori e responsabili del massacro degli armeni.

Ufficialmente le deportazioni della comunità armena dai loro territori, che si risolsero in “marce di morte” supervisionate dall’esercito turco e da membri dell’esercito tedesco secondo l’alleanza ancora valida, erano dovute a cause militare. Gli armeni, che in gran parte erano arruolati nell’esercito ottomano, sarebbero stati “poco affidabili”.

Hardenbergstraße berlin photo
Photo by janwillemsen

Il massacro cominciò con alcuni arresti dell’élite armena di Costantinopoli nella notte tra il 23 e il 24 aprile, di cui lo stesso Mehmed Talât fu il mandante. Nei mesi successivi cominciarono le deportazioni che coinvolsero secondo alcune fonti 1. 200.000 persone,  mentre secondo il governo armeno i morti furono circa un milione e mezzo. Molto tempo dopo l’attentato, nel 1943, le spoglie di Mehmed Talât furono, su ordine di Hitler, portate in Turchia. Qui gli fu eretto un monumento, e da colpevole fu reso martire.

Oggi, 24 Aprile, è il giorno della commemorazione del genocidio degli armeni. Anche a Berlino questo giorno verrà celebrato con manifestazioni non soltanto della comunità armena, ma anche con la partecipazione di altri gruppi, che hanno sostenuto l’organizzazione di questi eventi della memoria.

E’ proprio in questo giorno del ricordo, e forse è soprattutto questo a renderlo significativo, che vengono alla luce tensioni mai sopite. Una parte della comunità turca ha annunciato dimostrazioni di contestazione rivolta soprattutto all’uso del termine genocidio.

Del resto questa non è una parola qualsiasi, e il suo utilizzo porta con sé una visione politica e un certo modo di interpretare la storia. Mentre in Germania l’Olocausto è stato ufficialmente definito con il termine “genocidio”, e la negazione di questo termine è stata altrettanto ufficialmente proibita, da parte delle autorità turche una simile definizione non è stata applicata.

Questo è il motivo per cui si discute attorno a una parola, così importante perché in essa sta la differenza tra un “comune” crimine di guerra e un massacro col fine di annientare una determinata etnia. E del resto il fatto che se ne possa discutere come di una cosa non precisa, mette in secondo piano la differenza tra colpevoli e vittime.

Comunque  le reazioni della comunità turca in Germania non sono unilaterali. Il regista di origine turca Faith Akin, per altro autore di un film sullo sterminio degli armeni, “The Cut”, ha criticato l’atteggiamento del governo turco sulla questione. E si tratta solo della punta d’iceberg di una critica pubblica sempre più diffusa.

A parere di molti le incomprensioni, anche nella comunità turca in Germania, trovano terreno fertile in un’istruzione carente o deformata sul tema storico dello sterminio degli armeni. Così la pensa anche il diplomatico armeno Ashot Smbatyan, che sottolinea come in molti libri di storia tedeschi lo sterminio degli armeni non sia nemmeno preso in considerazione. Con questo, continua Smbatyan per il Berliner Morgenpost, si spiegano anche le manifestazioni anti-genocidio di questi giorni, per il fatto che parte dei manifestanti non avrebbe alcuna informazione storica su questo evento.

Il ruolo cruciale dell’istruzione è punto di partenza anche per Handan Kaymak. Figlia di genitori turchi immigrati in Germania, ha frequentato come molti ragazzi turchi  la scuola del consolato nel pomeriggio, dopo la scuola tedesca. Qui ha imparato la versione “ufficiale” della storia. Da questa esperienza si è convinta che per avviare un dialogo la scuola e l’istruzione siano fondamentali: la diversa provenienza degli studenti e uno studio più approfondito su temi cruciali sono premesse necessarie per il dialogo.

Con questi propositi Handan Kaymak lavora nel “Bildungsteam Brandenburg”, organizzazione sovvenzionata dal governo tedesco e dall’unione europea, a un libro di informazione per insegnanti, che tratta tra gli altri anche il tema dello sterminio degli armeni. Evitare la questione, ribadisce Kaymak, è un fallimento dell’istruzione: anzi, la scuola dovrebbe invitare a discutere specialmente sulle questioni più controverse.

Osservando i fatti storici, appare anche che l’attentato di Soghomon Tehlirian aprì la strada a molti altri omicidi giustificati con simili motivi, e che nessuno di questi attentati portò a una soluzione del problema nei rapporti tra turchi e armeni. Forse più che di stabilire chi ha ragione, si tratta di stabilire dove è stata la ragione in ogni singolo evento.

Non si tratta di relativizzare la questione al punto da dare ragione a tutti e a nessuno. Quello che è importante nella memoria di un massacro commesso in nome di una differenza culturale o etnica, è la riflessione comune su una tragedia replicata di continuo nella storia. Una tragedia che per questo riguarda tutti, “vittime” e “carnefici”, tanto più che questi ruoli non sono stabiliti una volta per tutte.

E’ in queste occasioni che diverse comunità possono trovarsi unite nell’individuazione e nel rifiuto dell’odio e del suo uso politico. Così come gli armeni sono stati vittime dell’odio etnico, la stessa causa ha portato alle morte, tra il 2000 e il 2006 , di otto cittadini di origine turca negli attentati del gruppo terrorista di estrema destra NSU.

Date queste alterne vicende della storia, potrebbe essere più significativo per ogni comunità riflettere su ciò che veramente è da condannare. Si tratta di un percorso difficile, sempre ostacolato dal desiderio di riscatto per un’offesa reale o presunta, ma che è l’unica via per il riconoscimento di una verità condivisa e di ciò che veramente gli uomini vogliono rifiutare.

Perciò forse anche un concetto ambiguo come la parola “genocidio”, vista la facilità con cui può essere strumentalizzato, potrebbe passare in secondo piano. E molto più utile che sostenere la propria parte rivendicando dei simboli, sarebbe la ricerca di un giudizio condiviso degli eventi passati. Come il fatto che l’allora ministro degli Interni dell’impero ottomano Mehmed Talât fu tra i principali ideatori dello sterminio, e non un eroe nazionale, e che l’omicidio di Soghomon Tehlirian non contribuì al riconoscimento da parte turca del genocidio. Questo  farebbe di un giorno della memoria più uno sguardo al futuro, anziché una replica ufficiosa del passato.