“Yosser ed io”: storia di un bellissimo rapporto tra un adulto e un bambino con la sindrome di Down

di Gabriele Nugara

Capita spesso nel corso dell’esistenza di fare incontri insoliti, inaspettati, sorprendenti. Si potrebbe perfino riassumere tutta la propria vita sulla base della sequenza di incontri decisivi, talvolta anche sfortunati, che ci sono toccati in sorte.
Quello di cui vorrei parlarvi è un incontro felice avvenuto nell’autunno del 2016 in un cinema a Berlino ed è stato l’inizio di una conoscenza e una frequentazione sempre più approfondite e intense che un giorno spero possano diventare anche un vero e proprio film, il film sul piccolo Yosser, sulla sua mamma italiana e sulla nostra curiosa e particolare amicizia.

Da quando mi sono trasferito nella capitale tedesca quasi dieci anni fa – con la mia laurea in Scienze della Comunicazione e un corso di specializzazione in Media Education presso l’Istituto della Resistenza di Torino – ho continuato a sviluppare quelle attività cinematografiche che svolgevo in Italia, con i laboratori di audiovisivo “Wunderkammer“, per gli adolescenti nei licei, e la partecipazione a festival nazionali e internazionali di cortometraggi come il “Sottodiciotto Film Festival” e “Filmare la Storia“, dove i video, negli anni, hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Uno di quegli incontri speciali a cui mi riferivo in precedenza, avvenuto qui a Berlino nel 2012 con lo scultore Peter Unsicker, ha poi dato un nuovo corso ai miei lavori documentaristici e questa collaborazione ha richiamato l’attenzione del festival di videopoesia ZEBRA e dell’emittente ARTE. Ma torniamo alla mia conoscenza con Yosser e la mamma Lara.

sindrome di Down

Mi trovavo al cinema Babylon per una rassegna di corti di animazione e all’improvviso mi sono ritrovato in braccio una creatura che voleva assolutamente impossessarsi dei miei occhiali da vista… Yosser allora non aveva ancora quattro anni ed era – com’è tuttora, ma con un sempre maggiore controllo su di sé – un bambino che sprigionava un’energia ed una gioia contagiose e al tempo stesso cercava negli altri, anche in perfetti sconosciuti, qualcuno di cui avere fiducia, persino qualcuno che lo aiutasse a districarsi nel mondo. Queste forse sono attribuzioni intellettuali un po’ eccessive, che posso ricostruire retrospettivamente, che difficilmente si possono mettere a fuoco durante poche ore passate insieme. A guardare bene sono inoltre le prerogative di tutti i bambini. E Yosser è un bambino come tutti gli altri. Ciò che però ho sentito fin dal primo incontro è stata un’insolita chiamata a sentirmi responsabile nei suoi confronti, fosse anche solo per quel pomeriggio, nei confronti di una creatura vivacissima e anche fragile che di colpo mi sembrava di conoscere da sempre.

Confesso di aver pensato sin dall’inizio ad un progetto di documentario sulla sua vita e sulla complessità di un mondo che già immaginavo prevedesse il coinvolgimento di figure professionali come ergoterapisti, fisioterapisti, logopedisti, assistenti sociali, tutti essenziali ai fini di un racconto unitario di questo prisma di rapporti, ognuno improntato al sostegno della crescita di Yosser.

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È vero, da quando ho cominciato a realizzare i miei primi cortometraggi da adolescente ogni stimolo della realtà diventa per me rapidamente una storia da cinema, un’ipotesi di racconto cinematografico. In questo caso il senso di responsabilità che sentivo in me era duplice: non riguardava solo il desiderio di fare la mia parte nel far sentire un bambino con la sindrome di Down gratificato di affetto e attenzioni come tutti, ma si manifestava anche circa l’idea stessa di documentario: non volevo in nessun modo “strumentalizzare” una vicenda umana a scopi sensazionalistici.

Così, quando l’estate successiva abbiamo cominciato le riprese, mi è parso giusto adottare un taglio personale incentrato sul mio rapporto – pur ancora embrionale – sia con Yosser che con Lara, dando voce a entrambi, senza una drammaturgia studiata a tavolino, bensì tramite l’osservazione del quotidiano e delle situazioni di gioco e scambio che si creavano con il piccolo.

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A distanza di un paio d’anni da quell’autunno 2016, un primo ritratto della vita di Yosser e Lara (con la partecipazione anche della nonna materna Laura), girato tra le mura domestiche, è stato mostrato in alcuni festival europei (Piemonte Movie, Lavori in corto, Uhvati Film Festival, Barcelona Planet Film Festival, Fausto Rossano) e Amelia Massetti, presidente dell’associazione Artemisia e.V., ha dato la sua disponibilità a proiettarlo durante un incontro (e in seguito anche a inserire il logo dell’associazione nei titoli di testa del progetto).
In queste occasioni pubbliche mi sono reso conto di una discrepanza fra l’emozione che vivo ogni volta che trascorro del tempo con Yosser e ciò che il video riesce a trasmettere allo spettatore: quella combinazione di imprevedibilità e tenerezza, vulnerabilità e turbolenza – quel moto perpetuo che spiazza, disorienta e talvolta esaspera (come quando Yosser si mette a urlare a squarciagola in un vagone della metro e non si sa come calmarlo, come quando Yosser in un millesimo di secondo prende un oggetto qualsiasi e lo lancia senza che lo si possa fermare in tempo) – non arrivano con facilità al pubblico, non sono auto-evidenti, ci vuole un lavoro più articolato per fare in modo che restino materia viva anche sullo schermo.
Per questo motivo sono convinto che le conoscenze e il lavoro di gruppo messi a disposizione da Artemisia e.V. siano una risorsa fondamentale per far sì che il percorso di conoscenza con Yosser e Lara possa diventare, un giorno, un vero e proprio racconto per immagini della vita di una mamma e di un bambino con la sindrome di Down. E questo coniugando narrazione e informazione, facendo tesoro anche della storia di vita della stessa Amelia con sua figlia Lia, una ragazza di 29 anni con la sindrome di Down che lavora stabilmente nel teatro Thikwa.

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Chiudo questo piccolo intervento con un aneddoto: un giorno di pomeriggio mi trovavo al Kindercafé dell’asilo con Yosser, intento a mangiare con gusto un pezzo di torta, ed io facevo soltanto attenzione che ogni tanto bevesse un goccio d’acqua e non gli andasse di traverso. Due signore sulla settantina lo guardavano intenerite a distanza, seguivano ogni suo movimento con stupore divertito e davano purtroppo un po’ quell’impressione ricorrente che si ha andando in giro con Yosser -anche se ho imparato a non farne una colpa a nessuno – di avere attorno a sé persone intente a osservare una scimmietta che si ciba dentro la gabbia di uno zoo. A un certo punto si sono avvicinate – stavano guadagnando l’uscita – quando una delle due a voce bassa mi ha detto “Er ist aber ein Kind mit Down-Syndrom, oder?” (“Ma è un bambino con la sindrome di Down, vero?”). Dopo la mia conferma la signora ha poi aggiunto – come a volermi incoraggiare: “Das sieht man kaum, er ist fast normal” (“Non si vede affatto, è quasi normale“).

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Diciamo che voleva essere una sorta di complimento rivolto a Yosser. Dovevo sentirmi onorato del fatto che Yosser fosse sì Down, ma non troppo. Perché quando si è “molto Down”, allora lì la situazione comincia a farsi complicata. E posso capire davvero come quel commento fosse in buona fede: chi conosce Yosser può subito constatare come la sua possa apparire come una sindrome “lieve” o “ad alto funzionamento”. Rimane il fatto che la nostra società ha davvero tutte le risorse per arrivare ad un grado di sviluppo morale e culturale tali da non sentire più il bisogno di definire un bambino con la sindrome di Down come Yosser quasi-normale: questa è uno tra le motivazioni che animano il progetto Artemisia, che si occupa, tra le altre cose, di sensibilizzare sulle tematiche relative alle diverse abilità e l’inclusione, ed è un messaggio che il mio documentario su Yosser spero possa contribuire a diffondere.

Nel prossimo incontro di Artemisia, si parlerà dei progetti futuri in programma per il 2019 e della clip video che Gabriele Nugara vuole realizzare per Artemisia in collaborazione con Federica Falconi.

Informazioni generali

28° Incontro Artemisia e.V.
Martedì 4 Dicembre 2018 dalle 18.00 alle 21.00
presso AWO – Begegnungszentrum für Ausländer und Deutsche
Adalbertstraße 23a, 10997 Berlin (2° piano, sala grande a sinistra)
U Kottbusser Tor – Bus 140 – M29

Martedí 4 Dicembre, sempre presso l’AWO, Artemisia e.V. festeggerà i suoi tre anni di attività e discuterà dei progetti che verranno presentati per il 2019.