Viaggio a Hohenschönhausen, l’ex carcere della Stasi: «Un luogo che pesa sull’anima»

Foto di Dario J Laganà

Lo storico Gianluca Falanga, a Berlino dal 2000, ci accompagna alla scoperta di alcuni dei luoghi-simbolo della città ai tempi della DDR. Il viaggio comincia con il Memoriale di Hohenschönhausen, l’ex prigione per la detenzione cautelare del Ministerium für Staatssicherheit (“Ministero per la Sicurezza di Stato”), situata nel quartiere di Lichtenberg. Falanga ha effettuato lunghe ricerche negli archivi della Stasi su temi come lo spionaggio, il terrorismo internazionale e la vita delle persone sotto il regime comunista.

Il racconto di Falanga è accompagnato dagli scatti di Dario J. Laganà, fotografo professionista specializzato in architettura ed esplorazioni urbane. Il suo sito ufficiale è norte.it, il suo blog su Berlino è Elephant in Berlin.

Prima tappa: Il Memoriale di Hohenschönhausen

È un luogo estremamente sensibile, che provoca forti emozioni. Il team delle guide è composto di ex detenuti e perseguitati da un lato, storici e specialisti sul tema dall’altro (in parte anche semplici studenti interessati al tema).

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© Dario J. Laganà / www.norte.it

Qui la storia della DDR mostra il suo volto più terribile ed è chiaro che la presenza sul luogo di ex detenuti crea anche tensioni e conflitti. Il memoriale è sostenuto dalla politica centrale, ma a livello locale ci sono tensioni con tanti ex ufficiali della Stasi, organizzati in associazioni, che fanno una specie di “contropropaganda” piuttosto aggressiva ed intimidatoria contro il memoriale e chi ci lavora.

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Hohenschönhausen © Dario J. Laganà / www.norte.it

In generale però il lavoro con le scuole e con la stragrande maggioranza del pubblico è estremamente positivo e produttivo, si fa un gran lavoro per rendere consapevoli le giovani generazioni che c’é stata in Germania una seconda dittatura, – diversa da quella nazista, ma pur sempre una dittatura – che ha fatto vittime e ha lasciato una pesante eredità di dolore.

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© Dario J. Laganà / www.norte.it

Come detto, è un luogo sensibile, anche scomodo forse. Fino a qualche tempo fa si diceva che gli abitanti del quartiere non provassero alcuna simpatia per i visitatori del carcere, come se si sentissero diffamati o accusati di aver sostenuto un regime dispotico e liberticida. Attualmente il clima mi sembra un po’ più disteso, forse è possibile che le tensioni si esauriscano con il naturale cambio generazionale.

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© Dario J. Laganà / www.norte.it

Personalmente credo che sia molto istruttivo visitare questo posto terribile, ascoltare le storie delle vittime, informarsi sulle procedure, vedere le celle del braccio carcerario sotterraneo usato dai russi dopo la seconda guerra mondiale, poi quelle del braccio moderno della Stasi costruito nel 1961.

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© Dario J. Laganà / www.norte.it

Senza dimenticare l’impressionante braccio degli interrogatori: qui regna ancora oggi un’atmosfera di oppressione fisica, il cemento ti pesa sulle spalle, i corridoi ti fanno rivivere il disorientamento, il dolore di chi era costretto a passare mesi in quel posto prima di ricevere un processo e una condanna piuttosto scontata, perché non erano prigionieri normali, ma politici.


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© Dario J. Laganà / www.norte.it

È molto importante ascoltare le vittime, ma è altrettanto importante farlo da una posizione neutrale, di distacco emotivo e questo non è sempre possibile di fronte ad una vittima che ti racconta. Per questo penso sia giusto andarci due volte: una volta lasciarsi guidare da un ex prigioniero, una seconda volta da uno storico, per riflettere più liberi dai sentimenti di compassione e immedesimazione.

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© Dario J. Laganà / www.norte.it

Trovo ad ogni modo estremamente coraggioso dar spazio e voce alle vittime e altrettanto coraggioso, da parte delle vittime, assumersi la responsabilità di raccontare ai più giovani, di esporsi. Per loro è emozionalmente molto difficile. Lo è altrettanto per noi storici. È un luogo che mi pesa e mi accompagna, come un’ombra pesante; sono quattro anni che ci lavoro quotidianamente e continua ad impegnarmi, a pretendere riflessioni, a trasmettermi messaggi.

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© Dario J. Laganà / www.norte.it

Al memoriale si può assaggiare cosa vuol dire perdere la libertà, non poter pensare liberamente, essere annientato psicologicamente. Uno strumento di potere delle dittature moderne, che devono trovare una giustificazione e una copertura ai loro abusi con metodi raffinati.


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