Bar25, la storia di una “leggenda berlinese” raccontata in un documentario
di Elisa Cuter
(pubblicato su effettonotte)
Bar 25 – Tage ausserhalb der Zeit (giorni fuori dal tempo), documentario di Britta Mischer e Nana Yuriko, potrebbe essere banalmente la storia di un club di Berlino.
Dalla sua fondazione, nel 2003, ad opera di un gruppo di ragazzi appassionati di musica, alla sua chiusura sette anni dopo. Un club tutto in legno, improvvisato sulla Sprea, che ha lasciato un segno a Berlino, ed è diventato una sorta di leggenda per molti giovani e per tutti gli interessati alla scena elettronica del mondo. Questo perché il Bar25, sulla Holzmarktstrasse, non era un semplice club, o come si direbbe da noi, una “discoteca”.
Bar 25 è in qualche modo la storia di un’utopia. L’utopia di un luogo dove era possibile sentirsi liberi, dove la libertà diventava una bandiera, dove ogni party (interminabile, il club apriva al mercoledì e i dj si alternavano ininterrottamente fino al lunedì a mezzogiorno) era magico, un’esperienza sensoriale e umana su vari livelli.
Il club era gestito da una sorta di comune di giovani visionari, che viveva letteralmente secondo i principi su cui si basava la filosofia del locale. Principi non troppo distanti da “l’imagination au pouvoir” del ’68, e però con molto più pragmatismo e senso per gli affari, tanto che i ragazzi del collettivo si autodefinivano “business-hippies”. Al punto che il loro progetto era quasi un esperimento di “capitalismo dal volto umano”.
Ogni week end salivano alla consolle i più famosi e rinomati dj di musica elettronica del mondo – alcuni della loro stessa scuderia, perché oltre al locale facevano parte del progetto un ristorante, una piscina, un teatro, un cinema, una galleria d’arte e, naturalmente, un’etichetta discografica autogestita. L’intrattenimento era non solo molto suggestivo e studiato nei dettagli, ma anche particolarmente trasgressivo, anticonvenzionale e volto coscientemente a sovvertire cliché culturali d’ogni genere. Un vero laboratorio di idee, sempre sviluppate con grande ironia e voglia di divertirsi e non prendersi troppo sul serio.
Anche l’estetica del luogo, che aveva un grande ruolo nella creazione dell’atmosfera da paese delle meraviglie del locale, era molto particolare. Una sorta di connubio tutto berlinese tra la cultura raver degli anni novanta, fatta di musica techno con venature cupe e industrial che oggi sono ancora rintracciabili nell’altra mecca dei clubbers a Berlino, il celebre Berghain/Panorama Bar, e la più recente cultura indie, fatta di arredamento tra il vintage e il lezioso, con bolle di sapone, coriandoli e aeroplanini di carta.
Nonostante quest’attenzione per l’atmosfera, non c’era traccia di pose troppo ricercate o della volontà di creare un ambiente chic o elitario: la clientela era la più varia, e dopo qualche ora d’attesa per accedervi ci si poteva sentire realmente liberi da etichette di sorta, autorizzati ad essere semplicemente se stessi e lasciarsi andare in questo ideale di amore cosmico e chiaramente un po’ naïf.
In questo senso, Bar25 è la storia di una città. Una città che negli anni seguenti la caduta del muro ha creduto nel sogno di poter diventare un’alternativa vivibile alle altre grandi metropoli: accessibile, economica, vivace, caratterizzata, fin dagli altrettanto epici tempi di Weimar, da abitanti molto più interessati a godersi il proprio tempo libero che a raggiungere uno status economico o sociale “benestante”. Così è stata Berlino fino ad ora, ed è questo stile di vita rilassato e creativo che ha costituto la sua attrattiva per tutti i giovani che l’hanno eletta a propria patria d’adozione negli ultimi vent’anni.
Ma questi giorni sembrano volgere al termine, e la prospettiva della definitiva gentrification spinta dalla volontà di profitto sembra inesorabile: attorno alla città nascono delle vere e proprie banlieue, rifugio per tutti gli immigrati che non possono più permettersi gli affitti del centro, il costo della vita sale, mentre le case occupate e i progetti autogestiti vengono fatti sgomberare dai nuovi speculatori edilizi. I locali chiudono.
E, infatti, anche lo storico Bar25 è stato costretto a chiudere proprio perché l’amministrazione comunale ha ceduto il terreno al progetto Mediaspree, che vedrà nascere sedi di importanti aziende di comunicazione e telefonia sulle rive del fiume, metafora del paradosso per il quale il nostro sistema fa chiudere un luogo di scambio umano “reale” in favore della comunicazione virtuale, in quanto monetizzabile.
Il documentario monta magistralmente le scene dei party più memorabili e ripercorre la vicenda giudiziaria dello sgombero. Ma il suo reale merito è che, nel farlo, riesce a trasmettere gli ideali su cui si basava il progetto, e diventa così non soltanto un omaggio commosso a un club che è ormai un simbolo dell’età dell’oro della capitale tedesca, ma anche un piccolo manifesto per una generazione che ancora lotta per opporsi a un modello economico totalizzante, assurdo e inumano e per costruire un’alternativa che, almeno per sette anni, è sembrata possibile.
Titolo originale: Bar25;
Regia: Britta Mischer, Nana Yuriko;
Sceneggiatura: Britta Mischer, Nana Yuriko;
Fotografia: Stefanie ‘Peppa’ Meissner, Alexander Schmalz;
Montaggio: Bilbo Calvez, Bobby Good;
Musiche: Reecode;
Produzione: 25Films, Arden Film, ZDF Kultur, 3 Sat;
Durata: 95 min.;
Origine: Germania, 2012