Unconventional Berlin Diary: fa caldo a Berlino?

Photo by rundenreisen.org
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Che temperatura c’è a Berlino? Qui in Italia, nella mia stanza surriscaldata dal pc e da una vasta parete di amatissimi libri, sto praticamente soffocando. Ieri notte non sono riuscita a dormire, il letto mi sembrava un forno. Solo parzialmente insonne ho cercato di leggere, ma non ero concentrata, ho acceso il ventilatore e l’aria ha cominciato a ronzare, poi sono andata in cucina e mi sono messa davanti al frigorifero aperto, alla fine mi sono addormentata sventolandomi con un ventaglio mezzo rotto.

In questi giorni ho avuto un attacco di panico che mi ha regalato l’impressione di non avere più il braccio destro, oltre ai soliti sintomi come tremore, senso di soffocamento, oppressione, distacco dalla realtà e ansia da impending doom. Solo che il mio sedativo di riferimento fa a cazzotti con l’iperreattività delle mie vie respiratorie e quindi devo mediare: da un lato la paura, dall’altro la razionalità. In mezzo l’estate, l’afa, le zanzare e quella cupa malinconia che provo sempre quando vedo i miei, sapendo di poter rubare solo pochi giorni alla distanza che ci separa e vivendo ogni momento felice come un’anticipazione della nostalgia che proverò ripartendo. Avrei bisogno di un Expat Support Group che mi aiutasse ad affrontare questo disagio specifico.

Per il resto continuo a cercare di riposare mentre si esaurisce la sfilza dei controlli medici che si sono protratti per oltre due settimane, assaporo cappuccino e biscotti integrali, pesce e frutta, ciambella ritorta e melanzane ripiene, leggo e rileggo i Dylan Dog della mia adolescenza e i libri di mio zio, che amava Sandro Penna e Camus, Pasolini e Petrarca, Joyce e Sartre, Kafka e Neruda. Faccio lunghi bagni rinfrescanti e tengo spesso la testa sott’acqua. Godo del silenzio che normalmente mi manca e nel silenzio scrivo e suono. Ho composto tre brani da circa trenta secondi l’uno e l’idea mi è piaciuta. Appena torno a Berlino voglio registrarli e girare dei minivideo, magari a Lichtenberg, dove proviamo. Trovo che l’imponente palazzo che ci ospita riesca a sembrare contemporaneamente disgregato dal tempo e senza tempo, una caratteristica che mi piacerebbe sfruttare.

diary photo

Ho bevuto del vino bianco che mi ha fatto salire la temperatura corporea di diversi gradi e mi sono data della masochista. Ho passato in rassegna vecchi diari e carte di ogni genere, in cerca di cose da cestinare. Per me è stato un gesto abbastanza rivoluzionario perché sono una feticista che conserva tutto: biglietti del teatro, flyer, pass dei concerti, fogli pieni di vecchi calcoli, lettere pubblicitarie della banca e della SIAE. Senza voler fare della psicoanalisi un tanto al chilo credo che questo impulso a trattenere qualunque cosa sia espressione di un blocco che a volte mi lascia paralizzata come le mie braccia quando ho gli attacchi di panico.

Così ho raccolto un bel mucchio di cartacce inutili e pagine di diario particolarmente imbarazzanti e le ho buttate via, sperando di sentirmi più leggera. Non voglio disfarmi dei ricordi, neanche dei peggiori, solo eliminare le espressioni più fastidiose della mia passata stupidità. Sono moleste, strisciano sui gomiti come zombie di Romero e poi puzzano. Non avrebbe senso.
Riordinare i miei cassetti ha fatto sì che recuperassi anche cose molto belle, però, in primis la lettera che un ragazzino mi scrisse quando facevo volontariato in una casa d’accoglienza per minori in difficoltà. La lettera si concludeva con: “Che hai mangiato oggi a pranzo e ieri a cena? Spero qualcosa di buono. Sai che cosa ho mangiato io? Ho mangiato la verdura. Che hai fatto ieri mattina? Spero qualcosa di bello. Io sono stato a scuola e ho messo tredici sassolini sotto la macchina della maestra Paola. Hai mai visto i missili? Io ne ho visti tre“.

Non riesco ancora a smettere di sorridere. A distanza di vent’anni il ricordo di quei bambini ha riempito la mia stanza infuocata come un fantasma buono, come il profumo di una primavera perenne.

♠ Colonna sonora: “The roof is on fire”– Bloodhound gang♠

 

Machete

Machete vive a Berlino dal 2013, in modo intelligente dal 2007 e in modo autoanalitico dal 2017.

Ama scrivere e girare il mondo e il suo più grande sogno è di poter combinare le due cose, un giorno. Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.

A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte.

Un po’ lo spera ancora.