La storia del Kabarett è una storia di libertà

via Silent Film
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di Attilio Reinhardt
(post tratto da Kabarett.it)

Al giorno d’oggi, farsi un’idea precisa di ciò che era l’atmosfera degli spettacoli di Kabarett a Berlino nel periodo a cavallo tra la Repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo, non è impresa da poco: romanzi, spettacoli teatrali e film ce ne hanno sempre dato un’immagine di ambiguità e decadenza; un punto di vista contestato dagli stessi tedeschi, perché derivante sia dall’ideologia nazista – dipingere i cabaret come luoghi di perversione faceva comodo a chi voleva eliminare con essi la libertà che veicolavano – sia dai preconcetti della cultura americana.

Inoltre è molto diffusa l’idea che gli intrattenimenti del tempo fossero soprattutto legati alla sensualità ambigua di Marlene Dietrich, al teatro dello straniamento di Bertolt Brecht, alla musica atonale di Kurt Weill. Per quanto questi personaggi e i loro lavori abbiano incrociato spesso il genere (e viceversa), essi non furono protagonisti della scena del Kabarett dagli anni ’10 ai ’30.

Da un punto di vista tematico e stilistico, questa era votata maggiormente al sorriso, talvolta in modo leggero, altre volte con l’uso della satira tagliente (soprattutto affrontando argomenti legati alla società e alla politica, non ultimo il nazismo). Decisamente lontano dal teatro di Brecht, che infatti scrisse alcuni testi per questi spettacoli e apparve davanti al pubblico rare volte. Weill collaborò pochissimo con gli artisti di cabaret. Quanto a Marlene Dietrich, l’attrice divenne famosissima con il cinema e soprattutto a Hollywood, ma sui palchi dei cabaret c’erano diverse altre artiste di grande fascino e capacità.

Aggiungiamo che, per una riflessione sul genere, è necessario prendere le distanze dal concetto italiano di cabaret, sia perché esso ha sempre avuto poco in comune con quello originale di marca franco-tedesca, sia perché in Italia è difficile trovare una forma teatrale consapevolmente antifascista che possa essere messa in relazione col fenomeno di cui parliamo.

Palchi di libertà

Nel periodo dell’avvento del Kabarett, la situazione in Germania era delicata: i successi militari prussiani portarono infatti alla formazione dell’Impero tedesco come stato nazionale dominato dall’influenza della Prussia, non solo dal punto di vista politico, ma anche sociale e persino culturale.

Ma nel 1918, con le speranze della Repubblica di Weimar e l’abolizione della censura, i palchi di Kabarett di Berlino e Monaco divennero quasi dei territori liberi: negli spettacoli proposti, che in principio si ispiravano a quelli dei cabaret parigini, vennero sottolineati sempre più gli argomenti politici e sessuali, quelli che più facilmente potevano destare lo scandalo nei borghesi benpensanti e il divertimento nel pubblico smaliziato e anticonvenzionale che frequentava i locali.

La libertà, nei locali di Kabarett, non era soltanto una questione di intrattenimento: in alcuni di essi, segretamente, vi si organizzava anche buona parte delle attività antinaziste; benché, principalmente, gli intellettuali s’incontrassero in tali luoghi per scherzare in modo anticonvenzionale su quelli che erano i problemi della Germania.

L’antisemitismo colpì comunque duramente la comunità degli artisti di Kabarett, perché molti di loro erano ebrei: Kurt GerronValeska GertFriedrich HollaenderMargo LionWalter MehringPaul MorganRudolf NelsonMischa SpolianskyMax Reinhardt e altri.

Kabarett o cabaret?

Per tutta l’epoca di Weimar, i termini cabaret e Kabarett vennero usati come sinonimi. Poi ci si misero di mezzo gli inglesi e gli americani. Nel 1939, nel Regno Unito, viene pubblicato Goodbye to Berlin di Christopher Isherwood: uno spaccato della vita nella capitale tedesca basato sulle esperienze dell’autore, drammatizzate ad hoc per creare i sei racconti componenti il testo.

Ma Isherwood era inglese, in temporanea trasferta berlinese, e il suo sguardo, per forza di cose, era alieno. In più, le sue testimonianze erano parziali, evidenziando la realtà dei locali di basso livello, ma omettendo quella degli intrattenimenti più brillanti. Nel 1951, il libro fu oggetto di una riduzione teatrale, I Am a Camera, titolo anche della sua versione cinematografica del 1955. Il successo del libro, del film e dello spettacolo convinsero il pubblico che il cabaret tedesco fosse solo quello descritto nelle rispettive opere.

Gli storici, gli studiosi e gli stessi artisti tedeschi non gradirono la generalizzazione e, proprio in quegli anni, proposero una differenziazione: cabaret avrebbe indicato solo gli spettacoli più piccanti e di grana grossa, mentre il termine Kabarett sarebbe stato riservato agli intrattenimenti di satira sociale e politica.

Il nobile tentativo linguistico, a parer nostro, non diede comunque grandi frutti: nel 1966, dal libro di Isherwood venne tratto il musical teatrale Cabaret, poi trasposto per il grande schermo nel 1972, interpretato da Liza Minnelli e diretto da Bob Fosse. Due produzioni americane entrate nella storia dello spettacolo che non hanno fatto altro che rafforzare nel pubblico i pregiudizi sul genere.

– post tratto da Kabarett.it –