PANEM ET CIRCENSES – Quello che non c’è

La chiave della felicità è la disobbedienza in sé a quello che non c’è”.
Cantava così Manuel Agnelli in “Quello che non c’è”, primo brano dal disco omonimo del 2002. Forse cantava così per esorcizzare l’uscita dal gruppo del carismatico chitarrista italo-basco Xabier Iriondo; forse “quello che non c’è” era proprio Xabier; forse Manuel cercava un modo per ritrovare la spinta dopo la separazione; forse gli Afterhours avevano deciso di disobbedire all’assenza di Iriondo dando vita ad un album profondamente rock dove la chitarra suona eccome.
Forse niente di tutto questo e, in fondo, poco mi importa. Non sono un giornalista, non ho l’obbligo della verità; non sono un critico musicale, non mi interessa l’autopsia dei testi degli Afterhours.
In questi giorni, però, l’album della band milanese ha risuonato parecchie volte tra le mura di casa mia, ho ripreso in mano la chitarra che giaceva in un angolo della camera da letto più o meno da quando siamo arrivati a Berlino e mi sono ritrovato ad urlare “Quello che non c’è” con rabbia e trasporto degni delle migliori performance ciniche, autodistruttive e disperate del buon vecchio Manuel (quando sputava verso l’alto per colpirsi da solo con la sua stessa saliva, per intenderci, solo che io non mi sono sputato, anche perché non ho soffitti particolarmente alti da consentirmelo).
C’è, nella mia cucina, un’ironica “installazione”: una ruota con la stagionalità di frutta e verdura e un’altra con i pesci del Mediterraneo, sono targate Eataly e mi seguono ad ogni trasloco, mi danno spunti in cucina, mi insegnano il rispetto delle colture (che è anche rispetto del portafoglio), mi fanno sentire in armonia con la spesa, di solito. Qui mi ricordano con gioia e colore quello che non c’è in Germania, motivo per cui ho trovato appropriato corredarle di una didascalia esplicativa ad uso e consumo degli ospiti (i pochissimi temerari che si spingono fino a Köpenick) che recita laconicamente “What is missing in Germany”.

Dovrei prevenire tutti gli eventuali insulter – che avranno il desiderio e l’opportunità di scrivermi che dico cazzate, che la “roba” si trova anche qui, che non sono abbastanza intraprendente perché non mi faccio venti chilometri per andare al mercato di Neukölln e altri simili ed utili consigli – chiarendo il valore satirico (dato proprio dalla voluta esagerazione dei toni) della didascalia ma in realtà non ho interesse nemmeno a fare questo. Anzi, qualche insulto mi farebbe piacere, dai cavolo, insultatemi un po’, che caspita, fatemi sentire l’ebrezza di essere bersaglio della vostra frustrazione (o mal di pancia o qualsiasi altro motivo possa spingere all’invettiva).
Comunque, nell’attesa di qualche insulto colorito e divertente (astenersi volgarità, o se proprio dovete siate creativi) potrei fare un bell’elenco tipo “celo, celo, manca” da figurine Panini a tema alimentare.
Allora, dunque, … no dai, sul serio volete un elenco?! Ma c’è bisogno? Chiunque abbia un briciolo di amor proprio sa cosa manca, conosce il valore misero dei surrogati teutonici (talmente misero che equivale in tutto e per tutto ad una mancanza), ma soprattutto si rende conto che quello che manca è una cosa sola, tanto semplice e macroscopica da diventare presto una triste costante di rassegnazione: manca la qualità media alla portata di tutti.
La qualità delle materie prime non te la da un marchio “Bio” (i tedeschi c’hanno una tale fissa con il “Bio” che al REWE vendono gli orsetti gommosi “Bio”… ma vogliamo scherzare?!?!), te la da una cultura del cibo e dell’alimentazione che qui fa parte di Quello che non c’è.


Ci sono i turchi che se da un lato dovrebbero smetterla di fare Pizza e Pasta dall’altro, paradossalmente, salvano la spesa degli italiani a Berlino. Il rapporto qualità-prezzo c’è e non c’è, i turchi non sono scemi, si sa, e spesso sono parecchio furbi, si sa anche questo, ma piuttosto che comprare la verdura al Kaufland o dover fare una Schufa per fare la spesa ad un “Bio” Markt o ad un mercato settimanale tra i fricchettoni folk di Boxhagener Platz e i fricchettoni fighetti di Pestalozzistrasse a Charlottenburg, ben venga anche un po’ di würzige furbizia turca.
Quello che non c’è è una coscienza alimentare forte e condivisa, l’esplosione del “Bio” a tutti i costi ne è una prova evidente, una reazione tanto eclatante quanto superficiale ad un vuoto culturale che ora si cerca di colmare a suon di germogli (saranno mica transgenici sotto sotto…) e bibite naturali.
Qualche giorno fa ho letto un articolo sul Corriere della Sera dove si parlava del sorpasso tedesco a scapito dell’Italia (anche) sul cibo stellato, secondo la guida Michelin 2013.
Niente da dire, le eccellenze viaggiano sempre su altri piani di discorso e di analisi. Certo un po’ mi rode essere sorpassato dalla Germania ANCHE in cucina, certo non si parla di cucina quotidiana né di ristoranti per tutte le tasche, i super chef non sono una cifra distintiva della cultura gastronomica e della consapevolezza culinaria (oltre che prettamente alimentare) di un popolo intero, sono appunto “eccellenze”, sono “stelle” e le stelle stanno lassù e non partecipano più di tanto della nostra quotidianità (chiedo scusa agli astrofisici, agli astronomi e anche agli astrologi, via, mi sento buono) se non la notte di S.Lorenzo o quando decideranno di cascarci sulla testa e neanche la guida Michelin potrà molto in questo caso.

© picture-alliance / dpa

L’articolo di Paolo Lepri si chiude con un “orgoglioso” colpo di coda: “Questa fioritura di locali di vertice, per chi se li può permettere” afferma Lepri “non vuol dire certamente che i tedeschi si siano trasformati di colpo in un popolo di intenditori. A migliorare il loro palato è stata essenzialmente, negli ultimi anni, la semplicità della cucina italiana, penetrata massicciamente in tutto il Paese, e la scoperta dei benefici di una alimentazione più naturale ed «ecologica». Ma alcune passioni restano, e lo dimostrano le lunghe file, notte e giorno, nei locali che producono a raffica le specialità più amate, come a Berlino il Currywurst. E a Monaco, quest’anno, l’Oktoberfest ha battuto tutti i record di presenza. Offrendo non molto più di birra e salsicce.”
A prescindere che si possa essere d’accordo o meno con Lepri (ho già detto cosa penso dell’alimentazione “ecologica”; trovo molto interessante, invece, la riflessione sull’influenza della cucina italiana in un processo di semplificazione; mentre mi chiedo se le lunghe code sono dovute ad una vera passione o al costo irrisorio di qualcosa in grado di sfamare anche Pantagruel) resta che la difficoltà di trovare materie prime di qualità è proporzionale solo alla facilità di ingurgitare junk food ad ogni angolo.
Eppure, a sentire la mia vicina di casa K. (che raccoglie da terra mele troppo mature per restare sull’albero, selvatico, del giardino condominiale) in Germania c’è tutto. “Wir haben doch alles hier” ha sentenziato fredda grigia e stizzita guardando le mie allegre e colorate ruote di Eataly.
Quello che non c’è… il senso dell’umorismo.

Magister_L

Panem et Circenses

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