Il giorno in cui il Muro si aprì, figlio di un 1989 rivoluzionario

Willy Pragher, CC BY 3.0 , via Wikimedia Commons
di Costanza Calabretta

«Das ist ja Wahnsinn!», «cose da matti!»: questa l’espressione più usata per descrivere quello che successe a Berlino la notte del 9 novembre 1989.

È passata alla storia come la notte in cui cadde il Muro, anche se a voler essere pignoli il Muro non crollò, ma quel confine di cemento che dal 1961 divideva Berlino Est, capitale della DDR, e Berlino Ovest, enclave della Repubblica Federale, fu semplicemente aperto. Ventotto anni di esistenza spazzati via, del tutto pacificamente, in una notte.

A mettere in moto gli eventi è la conferenza stampa di Günter Schabowski, portavoce della SED (il partito socialista unitario che controllava la DDR), in cui sono annunciate le nuove norme di regolamentazione dei viaggi: i viaggi personali potevano essere richiesti senza particolari condizioni ed erano autorizzati dagli uffici di polizia, gli espatri potevano avvenire attraverso tutti i luoghi di confine compresa Berlino.

Le regole sarebbe entrate in vigore «ab sofort», «da subito».  L’intenzione del governo della DDR era di fornire una valvola di sfogo per l’alto numero di espatri, guadagnando tempo per un programma di riforme. Nessuno aveva previsto quello che sarebbe successo in poche ore.

La conferenza stampa è trasmessa in diretta, la notizia si diffonde rapidamente, diventa virale diremmo oggi. In molti escono di casa, così come stavano, per vedere cosa succede. Si dirigono ai varchi di frontiera, a piedi, in bici, con le Trabant.

Muro di Berlino caduta 1989
Dicembre 1989. I Berlinesi staccano pezzi di muro dopo la riapertura delle frontiere. Aad van der Drift, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Un popolo unito per la libertà

Alle 21,30 la folla si è già raccolta presso Bornholmer Strasse, fra Wedding e Prenzlauer Berg. È il primo varco ad essere aperto. Le guardie di frontiera, smarrite, inizialmente appongono sui passaporti dei cittadini della DDR i timbri previsti per chi emigrava in modo definitivo. Finché il flusso non cresce così tanto che i documenti di migliaia di persone non vengono più controllati da guardie di frontiera sempre più confuse.

I cittadini di Berlino Ovest scendono in strada, accolgono i visitatori dell’Est, le bottiglie di spumante passano di mano in mano, le cabine telefoniche si affollano. In poche ore più di 5 mila berlinesi dell’Est vanno verso la metà occidentale della città, moltissimi solo per dare un’occhiata e poi tornare a casa: alcuni non avevano mai visto Berlino Ovest. Una fessura, poi una crepa e così il Muro “cadde”, senza che nessuno l’avesse davvero decretato.

Quello che avviene la notte del 9 novembre è un grande incontro collettivo, il ricongiungimento di due città divise. Il popolo tedesco è il «più felice del mondo», dice Walter Momper, sindaco socialdemocratico di Berlino Ovest.

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Nel clima festoso dei giorni seguenti «i berlinesi suoneranno il clacson all’impazzata, balleranno per le strade in camicia da notte, baceranno gli sconosciuti, si arrampicheranno sugli alberi, andranno in metropolitana senza biglietto, dilagheranno nei supermercati alla ricerca di Marlboro e banane» (alimento molto raro nell’economia pianificata della DDR).

E allora, il 9 novembre può essere ricordato come una delle rare, e forse una delle ultime, date felici della storia del Novecento europeo.

Gli antefatti che portarono a quel novembre del 1989

Ma cosa portò alla caduta del Muro? Fu davvero, come hanno scritto alcuni storici «il risultato di un semplice errore amministrativo», «un colossale equivoco, un evento letteralmente creato dai mass-media»? La caduta del Muro è in realtà il risultato, inatteso, dell’intreccio di una serie di fattori, in una sorta di effetto domino che inizia in Europa orientale e in URSS e che ci porta indietro lungo l’arco del 1989.

Precondizione del 9 novembre è la svolta in senso democratico, con la liberalizzazione del sistema economico e politico, che avviene in Polonia ed Ungheria. Il 2 Maggio 1989 il governo riformatore ungherese rimuove il filo spinato che aveva chiuso la sua frontiera con l’Austria, iniziando lo smantellamento della Cortina di ferro.

Migliaia di cittadini della DDR si riversano in Ungheria e Cecoslovacchia, alla ricerca di un varco verso l’Europa occidentale e la Repubblica Federale. A fine settembre in 25 mila hanno già abbandonato la Germania orientale.

Altri nel frattempo si rifugiano nelle ambasciate della BRD a Budapest, Praga, Varsavia, chiedendo il permesso di viaggiare verso Ovest. A muoverli è una domanda di libertà e di benessere, vista la crescente crisi economica della DDR.

L’esodo radicalizza le proteste di quanti, invece, non volevano abbandonare la DDR, ma chiedevano riforme che trasformassero il paese in senso democratico, che garantissero libere elezioni, libertà di movimento e di stampa. Da settembre si costituiscono diversi movimenti per i diritti civili (Neues Forum, Demokratie jetzt, Demokratische Aufbruch), motore dell’opposizione al regime tedesco-orientale.

Le proteste, da Lipsia a Rostock

È un crescendo di manifestazioni non solo a Lipsia e Berlino, ma anche a Dresda, Plauen, Halle, Rostock. Il 7 ottobre a Berlino Est, mentre la DDR festeggiava ufficialmente il quarantesimo anniversario della sua fondazione, la manifestazione di protesta viene repressa.

A Lipsia, solo due giorni dopo, la polizia non può fare nulla se non lasciar sfilare pacificamente le 70 mila persone che invadono il centro della città. Il 18 ottobre Erich Honecker, segretario generale della SED dal 1971, è costretto a rassegnare le sue dimissioni. Il 30 ottobre a Lipsia il numero di manifestanti sale a 300 mila. Il 4 novembre a Berlino Est, Alexanderplatz, si raggiunge il mezzo milione.

Espatri e proteste interne crescono parallelamente, al grido di «Wir wollen raus!» e «Wir bleiben hier!». Nulla però si sarebbe realizzato ˗ o almeno non in questa maniera ˗ senza la svolta nella politica dell’URSS guidata da Michael Gorbačëv.

Alle riforme interne in senso democratico (glasnost e perestrojka) Gorbačëv legò la rinuncia alla difesa armata, al sostegno militare, verso i regimi comunisti dell’Europa orientale. A differenza del ’53 nella DDR, del ’56 in Ungheria, del ’68 in Cecoslovacchia, la rivoluzione dell’89 si compie e lo fa pacificamente in tutta l’Europa orientale (con l’eccezione della Romania).


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Il partito della SED si ritrova isolato, sbanda, arriva troppo tardi per reagire efficacemente alla richiesta di cambiamento che saliva dalle piazze e dalle frontiere della DDR. E la vita punisce chi arriva tardi, come disse proprio Gorbačëv ad Honecker.

Il 1 novembre vengono permessi nuovamente i viaggi in Cecoslovacchia senza bisogno del passaporto, il 3 novembre i cittadini della DDR possono passare dalla Cecoslovacchia alla Repubblica Federale. In due giorni ne approfittano in 10 mila, aggirando di fatto il Muro.

Il 6 novembre viene pubblicato un disegno di legge sui viaggi, ma le sue limitazioni e la complessità burocratica non placano la rabbia dei cittadini della DDR. Il giorno seguente il Consiglio dei Ministri è costretto a ritirarsi, e con lui l’intero Politbüro. Si è costretti a preparare nuove regole che disciplinino i viaggi, ma la crisi del regime appare ormai irreversibile.

E così arriviamo al 9 novembre 1989, quel giovedì dopo il quale non solo la vita dei cittadini della DDR e della BRD non sarebbe stata più la stessa, ma sarebbe cambiato irrevocabilmente l’ordine mondiale.

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