Le due Germanie: il doping al tempo dell’Est e dell’Ovest

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Heidi Krieger © getty images

di Mirea Cartabbia

La rivalità tra Germania dell’Est e Germania dell’Ovest è cosa nota, sopratutto in ambito sportivo. Basti pensare all’eco che ebbe ad esempio la celebre partita di calcio tra Est ed Ovest giocata nel 1974 ad Amburgo e finita in favore della DDR. Oppure all’estrema competizione durante le Olimpiadi di Monaco del 1972, dove – se si considera come parametro il numero di medaglie ottenute – anche in questo caso ad avere la meglio furono gli atleti dell’est.

Per vincere contro i connazionali, gli sportivi – forse sarebbe più appropriato dire i loro governi – avrebbero fatto di tutto, anche mettere a rischio la salute dei concorrenti. Ecco così spiegato il frenetico ricorrere al doping nella Germania pre-caduta del Muro, che il giornale Die Welt ha raccontato qualche giorno fa in un articolo dal titolo Deutschland, einig Dopingland? Il pezzo si basa sui risultati ed i dati raccolti da uno studio berlinese che mette a confronto il sistema di doping nella DDR e quello nella RFT.

Come quasi tutto, il doping nella DDR era controllato ed implementato dallo stato, anche se legalmente parlando era considerato una pratica illegale. A partire dal 1974, con il piano di stato per gli sport 14.25, passato alla storia come “Manhattan-Projekt des Sports”, il sistema di doping della DDR divenne così complesso, ordinato, organizzato e burocratizzato da fare persino invidia ai sovietici, come si legge in alcuni documenti della STASI.

Lo schema riportato qui sotto (pubblicato sempre dal Die Welt) mostra che moltissime istituzioni, compreso il Ministero della Salute, le associazioni sportive e la STASI stessa, facevano parte della macchina che dirigeva il doping nella DDR. Proprio a seguito di questa stretta organizzazione e burocratizzazione, dove probabilmente erano in pochi a sapere davvero su cosa stavano lavorando, gli esperiti definiscono il doping nella DDR “sistematico”.

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Invece, nella RFT il doping era principalmente una scelta privata, tant’è che coach ed atleti erano quasi sempre a conoscenza del fatto che lo sportivo stava per essere dopato, anche se magari non erano informati riguardo a tutti i rischi e le possibili complicazioni. Gli esperti definiscono questo tipo di doping “sistemico”.

I medici implicati ricevevano del denaro dalle tasse dei cittadini, soldi che erano per lo più destinati alla ricerca, e li utilizzavano per sviluppare ed incentivare il doping. Dai documenti risulta che alcuni atleti sono stati addirittura utilizzati come cavie umane, a cui sono state somministrate sostanze ancora in fase sperimentale.

Lo stato in questo caso non aveva un ruolo attivo, non incitava gli atleti a doparsi, ma tollerava e chiudeva gli occhi. A testimonianza di questo c’è il fatto che molti istituti e centri di ricerca, che poi si sono scoperti implicati nel doping, erano subordinati al Ministero degli Interni (ad esempio L’Istituto Federale dello Sport e della Scienza).

Tra i medici che non esitarono a somministrare sostanze dopanti emergono due nomi in particolare: Joseph Keul, professore a Friburgo e per lungo tempo anche dottore del team olimpico tedesco e della Coppa Davis (famosa competizione tennistica), e Wilder Hollmann, dottore, professore e ricercatore dell’Università di Colonia.

Nel corso degli anni, i tedeschi occidentali hanno provato più volte a difendersi sostenendo che il doping occidentale nacque come reazione a quello orientale. Ma, come lo schema del Die Welt riportato qui sotto ci mostra, il sistema della RFT era molto meno complicato e burocratico rispetto a quello della DDR, quindi è ragionevole attribuire una maggiore responsabilità personale sia ai medici sia agli sportivi, che sceglievano di doparsi.

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Sebbene, almeno inizialmente, la RFT e alcuni suoi esponenti di spicco, tra cui Wolfgang Schäuble, si mostrarono tolleranti nei confronti dell’uso di sostanze dopanti, come ad esempio gli steroidi anabolizzanti, la sempre crescente autonomia tra sport e politica favorí la nascita ed il diffondersi di controlli anti-doping. Conseguenza fu che nella Germania Ovest i danni furono, almeno in parte, limitati.

Va ricordato che, a pagare maggiormente le conseguenze del doping sfrenato, furono e sono ancora oggi gli atleti della DDR. Si calcola che circa un centinaio di persone soffrono per complicazioni mediche derivate da questa pratica. Tra le più comuni si enumerano problemi sessuali o alcune forme di cancro. Come indennizzo, lo stato tedesco si impegna a dare loro una pensione di novemila euro all’anno, poco più dell’assegno sociale.

Secondo Thomas Köhler, uno dei più importanti ex funzionari sportivi della DDR, tutti gli atleti erano a conoscenza dei rischi ma si sottoponevano comunque ai trattamenti medici e quindi implicitamente accettavano di doparsi. Perché? Certamente una delle ragioni principali era perché essere degli sportivi di alto livello nella DDR portava a dei vantaggi “sociali”.

Oltre a poter avere una bella casa, studiare ciò che si preferiva, vivere una vita relativamente agiata, si poteva viaggiare, uno dei privilegi altrimenti destinato solo ad alcuni politici e funzionari particolarmente influenti.

Le dichiarazione di Köhler, contenute in parte anche nel suo libro Die Zwei Seiten der Medaille, hanno provocato l’ira di moltissimi sportivi, la cui vita è stata rovinata dal doping. “Il libro è un’unica menzogna” dice ad esempio Ines Geipel, campionessa nella staffetta 4 per cento e che nel 1984 conquistò il record del mondo.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: oggi? Non si ha alcuna informazione riguardo al doping nella Germania unita, lo studio che doveva occuparsene non ha potuto nemmeno iniziare per mancanza di fondi.

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Joseph Keul (Landesarchiv Baden-Württemberg) – © deutsche digitale bibliothek