Da Monaco a Berlino per fotografare l’imperfezione: intervista a Jan Herdlicka

RaumverdichtungenBerlinAlexanderplatz

di Sara Lazzari

Jan Herdlicka ha 27 anni ed è un ragazzo del Sud, viene da Monaco di Baviera. Fotografo autodidatta, predilige il bianco e nero e lo manipola cercando un approccio nuovo all’immagine. Sviluppa personalmente i suoi rullini, nella camera oscura che ha arrangiato nel bagno di casa sua. Ha esposto a Londra, Malmö e Berlino (dove vive e studia).

Il suo ultimo progetto, U Bahn Türen, gli ha guadagnato notevole attenzione mediatica (la Berliner Zeitung ne ha parlato qui). Noi lo abbiamo incontrato perché volevamo saperne di più.

Come sei diventato fotografo?  
Ho cominciato a giocare con la macchina fotografica quando avevo 10 o 11 anni. Mia mamma, di ritorno da un viaggio a New York ,me ne portò una in regalo: un aggeggio di plastica, con funzioni elementari. Ma per me si era aperta la porta su un mondo magico e ne ero irrimediabilmente contagiato. Ho sempre avuto una passione per il collezionismo, di ogni genere, e credo che anche l’interesse per la fotografia sia nato sotto questa spinta: captare impressioni visuali, fermarle e conservarle , per poi passarsele tra le mani e riviverle.

portraitDa quel momento è cominciato il mio percorso da autodidatta. Si trattava per lo più di un passatempo, ma ho cominciato pian piano ad apprendere le diverse tecniche di ripresa e ad adattare il mio occhio alla visione attraverso la lente. Ma solo da quando mi sono trasferito a Berlino, quattro anni fa, ho iniziato ad accostarmi alla fotografia in modo serio e professionale.

Monaco la sentivo stretta, piatta, troppo pulita e troppo benestante. Arrivare a Berlino è stato un movimento quasi spontaneo, che mi ha cambiato profondamente. Dopo un mese trascorso qui, sono tornato a casa in visita: e sebbene tutto fosse lo stesso di sempre, mi rendevo conto che il mio modo di guardare era diverso. Le strade tirate a lucido, le facciate perfettamente intonacate dei palazzi: così finto da sembrare una scenografia da Disneyland.

Il tuo ultimo progetto, U Bahn Türen, sta avendo una risonanza notevole: vuoi raccontare di cosa si tratta e come è nata l’idea?
Tutto è cominciato in maniera del tutto spontanea: qualche tempo fa vivevo nei pressi di Schlesiches Tor e mi trovavo a passare parecchio tempo alla stazione soprelevata dell’U bahn, ad osservare il salire e scendere della gente. Il treno arriva, si ferma, si aprono le porte. Confusione di figure umane regolata dalla voce metallica degli altoparlanti. Le porte si chiudono, il momento se ne va. Ho passato ore in quella e altre stazioni della U1, a riprendere quell’attimo sempre ugualmente scandito, ma ogni volta diverso. Già dopo i primi scatti, il progetto aveva preso forma.

ProjektUBantüren1A differenza della maggior parte dei miei lavori, queste fotografie sono a colori: non potevo ignorare il fascino di quel giallo pieno tipico della metro berlinese, interrotto talvolta da manifesti pubblicitari o graffiti. I vestiti dei passeggeri, talvolta il colore dei loro capelli , il lampeggiare della luce rossa al momento di chiusura delle porte: sono tutti elementi che valeva la pena riprodurre in un linguaggio fotografico che preservasse la loro vivacità e plasticità.

La serie è composta da diversi collages, costituiti ognuno da 16 scatti differenti. Il processo compositivo è piuttosto complesso e mi prende parecchio tempo. Considera innanzitutto che in una sessione colleziono in media duecento scatti diversi, fra i quali una volta a casa ne scelgo i pochi che poi vado ad elaborare al computer. Riadatto, riaggiusto, accosto. Infine stampo, e rifinisco ulteriormente.

Il progetto non è concluso: ho in previsione di riprenderlo a breve, magari spostandomi su altre linee e concentrandomi su orari e zone della città differenti. Immagina quanto diverso uno scatto a Marzahn verso sera da uno a Mitte all’ora di punta. Si tratterebbe inoltre di un percorso di ricerca anche cromatico: sapevi che le carrozze usate sulla linea 2, ad esempio, sono di un tono di giallo diverso, leggermente più chiaro?

Ci sono degli artisti al cui lavoro ti ispiri o che ti hanno particolarmente influenzato?
Ammiro  molto le opere di un artista giapponese, Daidō Moriyama, che lavora anche lui in bianco e nero, ed ha sviluppato un particolare procedimento di sviluppo delle foto, per cui interviene con giochi di sovrasviluppo  e sovraesposizione a rimarcare esageratamente  i contrasti e le ombre. I soggetti che ritrae non sono scenografici, sono anzi quadri della più schietta quotidianità: ma una quotidianità che viene catturata nella sua energia dinamica e, impressa sulla pellicola, prende spessore.

Un altro artista che mi ha profondamente segnato è l’americano Joel Meyerowitz, uno dei pionieri della Street photography; la serie di fotografie che ha scattato a Ground zero, nei primissimi giorni dopo l’attacco alle Torri, mascherato da pompiere per eludere i controlli di sicurezza, sono davvero impressionanti. E certamente Andreas Gursky , del cui influsso ho risentito soprattutto in quest’ultima serie di collage.

Ho nominato artisti molto diversi tra loro: questo probabilmente rispecchia la fase in cui mi trovo al momento, che è di intensa esplorazione. Continuo a prediligere il bianco e nero, ma al contempo gioco col colore. Cerco e sperimento nuovi metodi di sviluppo e composizione. Intervengo in ogni fase della creazione, mettendo sempre in discussione il mio metodo. Se da un lato preferirei poter dare un tono più omogeneo alle mie opere e presentarle come parte di un discorso organico, dall’altro sono perfettamente consapevole che la ricerca è appena iniziata, e mi porterà ancora più lontano.

A chi volesse saperne di più (ancora) e dare un’occhiata a questi ed altri lavori di Jan Herdlicka, consiglio una visita al suo sito.

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