Italiani in Germania: storia di una generazione di migranti

Migranti italiani a Wolfsburg negli anni '60
Migranti italiani a Wolfsburg negli anni '60
Migranti italiani a Wolfsburg negli anni ’60 in un giornale dell’epoca

di Alessandro Brogani

einwandererIl fenomeno dei nostri connazionali espatriati in terra tedesca è lungo e complesso tanto quanto quello turco.

Gli italiani sono arrivati a lavorare in Germania in seguito agli accordi bilaterali del 1955 per il reclutamento di “forza lavoro” che si basava sul cosiddetto Rotationsprinzip (principio di rotazione). Tale principio che prevedeva un periodo di permanenza limitato degli immigrati fu ben presto disatteso tanto da chi si era stabilito sul posto ed aveva trovato in molti casi oltre al lavoro una nuova vita “sociale”, quanto dagli industriali stessi che li avevano assunti, costretti da tale principio a ricominciare la formazione di nuovi lavoratori. Tutto ciò andò avanti fino al 1973 quando il Governo tedesco decise un blocco delle politiche di reclutamento, il cosiddetto Anwerbstop.

Le analisi statistiche – I dati inerenti l’immigrazione antica e moderna degli italiani sono stati a lungo analizzati e studiati dalla dott.ssa Edith Pichler*, ricercatrice dell’Università di Potsdam.

Secondo quelli analizzati da uno studio fatto dalla dottoressa assieme ad Oliver Schmidt, per conto del Com.it.es. (Comitati Italiani all’Estero) di Berlino nel biennio 2011-2013, all’interno della nostra comunità alto è ancora il numero degli alunni che rinuncia ad una carriera scolastica che possa sfociare negli studi universitari. Secondo lo studio della ricercatrice il tasso di scolarizzazione dei genitori è fondamentale per il risultato scolastico dei figli. Generalmente più basso è, minore sarà la possibilità che quello della prole sia alto (studi universitari o superiori). Anche lei, come Giardina, mi conferma: «In effetti gli italiani non hanno posizioni di rilievo nei partiti politici tedeschi o nel Governo tedesco. Un campo nel quale sono riusciti ad integrarsi professionalmente parlando nella società è quello del giornalismo, forse perché sappiamo parlare». Di nuovo emerge un dato inequivocabile: Berlino è un caso a se stante. «Gli italiani» dice sempre la studiosa «che sono presenti nella capitale, anche quando non laureati, sono pur sempre persone che magari anche in Patria avevano già una formazione professionale. Sia questo fattore, sia la particolare struttura scolastica (ogni Land ne ha una propria) qui presente, che è meno restrittiva e penalizzante rispetto ad altre parti della Germania, probabilmente favorisce maggiormente la carriera scolastica dei figli degli immigrati ed il loro futuro successo professionale». Secondo la dottoressa Pichler la lingua rappresenta, assieme alla mancanza di un vero e proprio progetto migratorio (a lungo termine, per intenderci), il maggior problema della nuova ondata migratoria.

C’era una volta l’emigrante con la valigia di cartone… – La casistica di Berlino è quindi una cosa a se stante. Occorre dunque fare una distinzione fra le nuove generazioni e quelle di più antica data. Anche fra quest’ultime il classico stereotipo del lavoratore sbarcato qui da una realtà provinciale italiana non sempre corrisponde alla realtà dei singoli individui. Ne è un esempio Carlo Larotonda, immigrato più di 20 anni fa a Berlino da Calvello, un piccolo paesino in provincia di Potenza. Anche lui ha fatto parte dei cosiddetti Gastarbeiter (lavoratori ospiti) lavorando inizialmente in gastronomia, ma al contrario di tanti nostri connazionali ha cercato subito d’integrarsi, imparando la lingua e mettendosi “in proprio”, lavorando con tedeschi nel campo della falegnameria. In perfetto accordo con sua moglie Giovanna, anch’essa di origine italiana seppur cresciuta in Germania, Carlo ha deciso di far studiare i figli al Gymnasium con il proposito di mandarli in seguito all’università. Per questo affrontano anche grandi sacrifici economici, facendogli frequentare la Private Schule (la scuola privata).**

Altra esperienza è quella di Giovanni S., approdato ben prima della caduta del Muro nella Berlino dei primi anni ’80. Laureato in Italia, sposato in Germania e padre di un giovane nato sul posto. Anche Giovanni, come la dott.ssa Pichler, mette in evidenza il problema principale delle nuove ondate migratorie: «Personalmente trovo che quello di Internet sia un “mito” sopravalutato. Molti giovani arrivano in questo Paese con le più disparate aspirazioni, da quelle artistiche a quelle di accedere al mondo “digitale” certamente più presente qui che in altre nazioni europee; tuttavia, tranne rare eccezioni, molto poco sanno di quello che realmente è la Germania, di come funzioni la sua società ed il mercato del lavoro; per non parlare poi, nella maggioranza dei casi, dell’assoluta mancanza di conoscenza della lingua. Quando io sono arrivato tanti anni fa conoscevo già le basi della lingua, che ho perfezionata in loco, ed ho preferito subito cercare d’integrarmi non affidandomi alle Istituzioni italiane. Quest’ultima è stata una mia scelta personale».

Cos’è che Giovanni rimprovera invece alle Istituzioni italiane nei confronti degli italiani presenti? «Forse una poca attenzione circa le retribuzioni effettive erogate nei confronti dei lavoratori», prosegue. «Le leggi in Germania a tutela del lavoro ci sono, ma troppo spesso vengono aggirate. E questo accade anche nella comunità tedesca stessa, si figuri fra quella italiana. Il lavoro spesso è sottopagato con vari escamotage e c’è una sperequazione di trattamento riservato, a parità di qualifica, tra i lavoratori della stessa Unione Europea. In tal senso, in molti casi, gli italiani sono fra i peggio pagati».

Anche secondo l’esperienza diretta di Giovanni il pregiudizio degli insegnanti di scuola elementare nei confronti degli immigrati italiani rappresenta un serio problema per il futuro di molti giovani. Nel suo caso la propria autonomia culturale ha fatto sì che il figlio potesse comunque avere una carriera scolastica soddisfacente, ma il sospetto che questo sia un problema per molti, in effetti rimane. Un’esperienza analoga mi è stata riferita da Roberto Giardina, di cui abbiamo parlato nel primo capitolo dell’inchiesta, quando la figlioletta di soli 4 anni era stata considerata “sottosviluppata” dall’insegnante, incapace di comprendere che molto semplicemente la bambina, appena arrivata dall’Italia, non capiva solo perché ancora non parlava la lingua.

E le nuove generazioni di immigrati italiani?

Scoprilo nel terzo capitolo «Germania oggi e domani: il futuro che attira»

Questo articolo fa parte dell’inchiesta “Einwanderer – L’immigrazione italiana (e non solo) in Germania” realizzata da Alessandro Brogani nel luglio 2014. Clicca qui per leggere la prefazione e sfogliarla capitolo per capitolo.

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* Pichler, Edith (2014): Von Gastarbeiter/-innen zu neuen Mobilen. Soziale Milieus der italienischen Migration, in: Pfeffer-Hoffmann (Hrsg.), Arbeitsmigration nach Deutschland, Berlin, S. 417-448.
Pichler, Edith (2013): Berlino dal recycling urbano alla promozione della diversity, in: Lambertini, Anna (Hrsg.) Urban Beauty! Luoghi prossimi e pratiche di resistenza estetica. Bologna, S.241-242.
Pichler, Edith (2013): Von Arbeitssuchenden, Empörten und kreativem Prekariat. Die neue italienische Einwanderung nach Berlin, http://www.migration-boell.de/web/migration/46_3602.asp.

** Un capitolo a parte andrebbe aperto sul sistema scolastico tedesco, abbastanza differente dal nostro. Purtroppo non è possibile affrontarlo in questo spazio perché necessiterebbe di lunghi approfondimenti.