Brexit, il Regno Unito deciderà a breve se lasciare l’Unione Europea

Brexit or Remain photo

di Annika Kreusch

Il referendum del 23 giugno sulla cosiddetta “Brexit”, cioè la possibilità per il Regno Unito di uscire dall’Unione Europea, sarà cruciale non solo per il Regno Unito, ma anche per il futuro della stessa UE. Gli ultimi sondaggi mostrano una percentuale di favorevoli alla Brexit pari al 53%. Se il Regno Unito lasciasse l’UE potrebbe inoltre innescarsi un meccanismo emulativo nelle altre nazioni europee e questo “effetto domino” potrebbe essere l’inizio della fine di quella coesione politica, sociale e culturale e di quella solidarietà che si voleva tra gli Stati dell’Unione.

Il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha dichiarato: “Un voto favorevole alla Brexit creerebbe dei problemi a tutti, ma in particolare al Regno Unito”. Ha inoltre sottolineato la sua natura definitiva. Una volta uscito dall’Unione Europea, infatti, il Regno Unito non potrá più rientrarvi e a questo proposito Schäuble ha sintetizzato con un lapidario: “Drin heißt drin und raus heißt raus”, dentro è dentro e fuori è fuori. Nel frattempo la donna più potente del mondo non osa parlare. Di sicuro anche Angela Merkel auspica che il Regno Unito resti all’interno dell’UE, ma la cancelliera trova evidentemente più saggio non dirlo troppo forte. In una conferenza stampa ha addirittura smorzato i toni pubblicamente, dichiarando: “non voglio creare alcun equivoco: sono i cittadini britannici a dover decidere”.

Dopo che l’immagine della Germania come leader dell’Unione Europea è stata fortemente compromessa durante la crisi greca, principalmente per via del suo supporto al programma di austerity, stavolta la politica migliore da parte dei tedeschi sembra essere un atteggiamento di distanza e rispetto verso la decisione dei britannici. Anche il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, in una recente intervista rilasciata a “Der Spiegel”, ha detto che sarebbe “intelligente e corretto restare più silenziosi possibile”. Sin dalla sua nascita, dopo la seconda guerra mondiale e per tutti gli anni cinquanta, l’Unione Europea  fu concepita come un organo avente la funzione di assicurare e rafforzare la pace e la cooperazione degli Stati membri e a sovrintendere alla loro crescita economica. Tuttavia la sua trasformazione, tra il 2007 e il 2009, nell’istituzione forte che conosciamo oggi, insieme al potere e all’influenza finanziaria che ha ottenuto, ha attirato critiche in tutta Europa. E così anche nel Regno Unito.

Circa metà dei parlamentari conservatori sono a favore della Brexit. Uno dei più tenaci oppositori dell’Unione Europea è il partito nazionalista UKIP, guidato da Nigel Farage. I loro argomenti principali possono essere sintetizzati negli slogan “liberarsi dal controllo politico dell’UE sul Regno Unito” e “stop all’immigrazione”. Anche il partito laburista, tuttavia, vede al suo interno voci critiche verso l’Unione Europea, soprattutto da parte dell’estrema sinistra. “L’UE sta prendendo una strada neo-liberista, che supporta l’evasione fiscale delle multinazionali e non è socialista, ma corporativista“, ha detto la parlamentare Kate Hoey. Durante lo “Spectator Debate” il conservatore Daniel Hannan ha aggiunto: “siamo ovviamente a favore della cooperazione verso i vicini e gli alleati. Questa decisione non vuole ratificare il nostro isolamento, ma l’UE vuole legiferare per il Regno Unito, è questo il problema”.

Uno dei principali argomenti usati dai sostenitori della Brexit e dai loro supporter è lo scetticismo e l’assoluta mancanza di fiducia verso un’istituzione non nazionale e la convinzione che la Commissione Europea sia un organo esecutivo non elettivo e non democratico, che minaccia la sovranità degli Stati nazionali e ne sottovaluta le decisioni politiche. Di sicuro non aiuta che solo pochi nomi o facce dei deputati dell’Unione Europea o dei suoi commissari abbiamo credito presso la popolazione o siano anche solo conosciuti. Il Parlamento Europeo e la Commissione Europea sembrano insomma troppo lontani e troppo potenti al tempo stesso.

L’altra metà dei legislatori conservatori e la maggioranza del partito laburista seguono invece il primo ministro David Cameron nella sua intenzione di restare parte dell’UE. Coloro che sostengono questa necessità enfatizzano i benefici associati allo status di Stato membro, in primis la possibilità di commerciare facilmente con gli altri 28 Stati dell’Unione Europea. Considerano inoltre il potere del Regno Unito molto più forte e incisivo all’interno dell’Unione Europea che altrove. In un dibattito politico Liz Kendall, del partito laburista, ha detto che i cittadini britannici dovrebbero chiedersi perché vogliono lasciare l’Unione, nella quale hanno determinato o influenzato la maggior parte delle regole e in cui nove volte su dieci sono stati dal lato della maggioranza, quando si è trattato di prendere delle decisioni. La Kendall ha inoltre aggiunto che attraverso l’Unione Europea “abbiamo il potere di mettere in atto azioni congiunte, quando le leggi e i regolamenti internazionali sono messi in discussione a casa nostra“.

Anche organizzazioni indipendenti come la Banca Mondiale, l’OECD o l’IFS non vedono la Brexit di buon occhio, perché ritengono che un’uscita determinerebbe nel Regno Unito una grossa crisi finanziaria, destinata a incidere soprattutto sui poveri, sui più vulnerabili e sui meno pagati.

In ogni caso il referendum mostrerà in via definitiva le posizioni della nazione. Anche se l’opzione della permanenza dovesse alla fine prevalere, è comunque sempre più evidente che l’Unione Europea dovrà lavorare molto per risultare più democratica e credibile. Avendo inoltre espresso negli ultimi dieci anni un’economia stagnante, soprattutto se facciamo il paragone con l’India e con la Cina, l’Unione dovrá in ogni caso trovare un equilibrio tra il suo orientamento neo-liberista e la necessità di creare una maggiore sicurezza sociale. Priorità assoluta é infatti restituire una reale prospettiva di futuro ai meno pagati e a quei disoccupati che ammontano al dieci per cento, nell’intero terroritorio dei Paesi membri. Pressoché ovunque i partiti nazionalisti stanno infatti guadagnando consensi e aspettano solo che l’Europa fallisca in questo obiettivo.